I BAMBINI DI GAZA E I BAMBINI DI ISRAELE
In questi giorni un docente del Liceo Righi di Roma è balzato sulle cronache nazionali per un presunto comportamento scorretto nei confronti di un alunno italo-israeliano messo a disagio, stando a quanto riportato dai giornali, dal modo in cui il docente avrebbe scelto di affrontare in classe la questione israelo-palestinese. La notizia mi colpisce molto, non tanto per i particolari riportati sempre in termini approssimativi e sensazionalistici dai giornali, ma perchè mi costringe a pormi delle domande. Se è vero, come ha scritto nell’articolo “ E’ uno strano gioco…” pubblicato la scorsa settimana su questo blog la dott.ssa Maria Giubettini a proposito di quanto sta accadendo nella striscia di Gaza, che “alla fine la mossa vincente è non giocare”, mi chiedo, però, come docente posso restare in silenzio di fronte all’orrore di quanto sta accadendo e soprattutto rispetto alla narrazione violenta costruita sul <<da che parte stai, con gli Ebrei o con i Palestinesi?>> o peggio << con i terroristi di Hamas o con la democrazia di Israele?>>. Non è forse un mio preciso dovere confrontarmi con gli studenti su quanto sta accadendo? Perchè si, insomma, non è che posso continuare a parlare della congiura di Catilina, o di Dante Alighieri come se niente fosse, mentre i miei studenti ogni giorno vengono bombardati da immagini atroci o narrazioni ideologiche e magari nemmeno sanno dove si trova la Palestina!
<<Ma chi te lo fa fare?! Entri in un campo minato. Rischi di offendere la sensibilità di qualche genitore ! >> mi dicono alcuni colleghi. E Gli studenti? E la loro sensibilità? e il loro diritto a sapere, a capire, a “vedere”.
Mi vengono allora in mente le parole dell’ex Ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini che, in un’intervista del 2010 al Corriere della sera ( che all’epoca,lo confesso, mi fece sobbalzare sulla sedia!),, disse “ Se un insegnante vuole fare politica deve uscire dalla scuola e farsi eleggere. Quella è la sede per le sue battaglie, non la cattedra”.
Eh No! Non si può confondere il “fare politica” con “l’indottrinamento ideologico”!. Insegnare è già di per sè un atto politico se per politica si intende il confronto su tutto ciò che ci riguarda e che viviamo. Ma che immagine di docente e di persona potrei proporre ai miei studenti se accettassi anche solo l’idea che possano esistere tra gli esseri umani argomenti tabù di cui non si può parlare o peggio che si possa legittimare il disinteresse, l’anaffettività di fronte al dolore e alla tragedia di due popoli.
Io sono un’insegnante e, per mia fortuna, non devo veicolare una confessione religiosa nè una verità rivelata ma posso e voglio riflettere con i miei studenti sull’enorme orrore di quanto accade, sui bambini di Gaza, sui bambini di Israele, sulle vite spezzate…perchè la fine di quelle vite mi riguarda…ci riguarda, tutti.
Sara Lazzaro
Hanno ragione, affrontare l’argomento guerra significa entrare in un campo minato… ma parlarne è davvero il minimo se pensiamo che per chi vive la guerra il campo minato non è una metafora (leggevo che in Ucraina al momento c’è un campo minato di 250.000 km quadrati!).
Bello Sara quello che fai per i tuoi alunni.