LA SIRENETTA
Ho visto il film de La Sirenetta, o forse dovrei dire rivisto, perché la storia è quella del cartone animato Disney che ho amato da bambina.
Sorrido e penso che forse mi sentivo anch’io un po’ Ariel, l’adolescente che voleva scappare dal suo mondo per scoprire, camminare, piangere. Ma a cosa ho rinunciato per avere le gambe e la possibilità di respirare fuori dall’acqua? Lei ha rinunciato alla sua voce da sirena, io ho mantenuto la mia, ma è cambiato il suono e, mi verrebbe da dire, la sorgente.
Da dove vengono oggi le mie parole? Quelle che uso per parlare, comunicare… come nascono?
Dalla testa riesco a dire, ma quelle della pancia le ho perdute e con fatica cerco di ritrovarle, scavando.
Un nodo in gola… forse capita anche quando non riusciamo a trasformare un pensiero in linguaggio verbale perché manca chiarezza e forse coraggio?
Un vento fresco che ci scalda dentro mentre torna un’immagine, si traduce in parole o si trasforma in suono? E non facciamo forse questo quando raccontiamo un sogno? Una coperta intorno alle gambe durante un tuffo è un modo per raccontare una pinna da sirena?
I pensieri vanno troppo veloci ed è difficile fermarli, ordinarli, anche in questa lettera.
Ariel perde la sua sfida con la cattiva di turno e perde tutto, torna indietro e riesce a tirarsi su due belle gambe mantenendo la sua voce solo quando realizza qualcosa…
Finisce bene insomma, è una favola certo, ma sento che la possibilità di farcela esiste davvero, e continuo a cercare il suono della mia voce più umana.
Maria Pranzo
Lascia un commento