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LA LUNA SI E’ ROTTA

LA LUNA SI E’ ROTTA

Caro Papillon,
lo scorso venerdì la testa mi si è rotta in cinque pezzi! Pensavo che fosse il caldo o qualche scherzo della mia immaginazione a farmi vedere quelle parole una dietro l’altra: vietato il diritto all’aborto.
La prima cosa a cui ho pensato è stata a quando, ad appena 15 anni, ho detto a mia madre che avrei dovuto prendere la pillola del giorno dopo. Non mi dimenticherò mai la sua faccia preoccupata, le corse in auto per andare all’ospedale, sentirsi dire dai medici che nessuno lì mi avrebbe prescritto quel farmaco. La corsa contro il tempo fino al San Camillo. E lì, gli sguardi di rimprovero degli infermieri, i moduli da compilare, le domande che sembravano così invadenti. Di quel giorno ricordo il freddo del metallo e la vergogna, la prima farmacia, con l’obiettore di coscienza anche lì, la seconda, la pasticca, l’acqua, manda giù. E poi l’attesa, lunghiiiiiisssssima fino al ciclo successivo che per fortuna è arrivato.
Questa cosa di tutelare i diritti di qualcuno che non esiste, a discapito della vita di qualcuno che invece è qui, proprio non riesco a capirla.
È come diceva Padre Pizarro, il famoso prete di Guzzanti: “A noi ce interessa solo il feto dal primo giorno fino al parto e poi prima de morí, in mezzo ce stà un grandissimo chissenefrega!”
Dopo tanti anni, non è cambiato niente.
Benvenuti nel nuovo medioevo, più patinato del primo, più anticonformista ma sempre profondamente religioso.
Ci sarebbero così tante parole da spendere, cominciando col dire che il fatto di poter fare figli non rende le donne creatrici di nulla, che un figlio la vita se la prende da solo, che potremmo toglierci questo peso e la convinzione di fare qualcosa di sbagliato e contro natura.
E invece non leggo che commenti di politici degni dei peggiori salotti di talk show.
Ho letto da qualche parte che se a partorire fossero stati gli uomini, l’aborto sarebbe stato da subito un diritto inalienabile.
Una battuta certo! Certo…A distanza di giorni non smetto di pensarci, e non riesco a trovare un senso a tutto questo.
Mi chiedo, a chi dovrebbe fare male abortire? Alla società no di certo, visto che poi, e parlo in particolare degli Stati Uniti, quei figli non voluti crescono con addosso il risentimento delle madri e non vengono aiutati da nessuno per poi decidere di alzarsi una mattina ed entrare in una scuola elementare e uccidere 14 bambini sparando alla rinfusa.
Forse, allora, è una questione di protezione. Ma per proteggere chi? Da che cosa?
E lo so che detto da me, che sono donna, sembra un po’ fare tutto da sola, ma non sarà che il pericolo da scongiurare è proprio la libertà delle donne? Non quel tipo di libertà apparente e sbandierata. Dico una vera libertà delle donne.
Delle donne che nonostante siano state raccontate per anni come maschi mancati, esseri inferiori, isteriche, madri di, mogli di, sorelle e figlie di, sono perfettamente in grado di prendere decisioni sulla loro vita.
Quelle donne che, in realtà, hanno il desiderio, come più grande desiderio, e non hanno bisogno di un figlio, come scusa per tenere buono qualcuno.
Non sono una brava femminista, quindi lungi da me fare la paladina dei diritti delle donne. Io non ce l’ho con gli uomini, ce l’ho con un certo tipo di pensiero, con chi non chiama le cose con il proprio nome, ce l’ho con quella vocina che ci entra in testa e ci vorrebbe convincere di non potere. Ce l’ho con noi donne quando crediamo talmente tanto a quella vocina, che finiamo per diventarla noi stesse.
È così che lo scorso venerdì, leggendo quelle parole, facendo questi pensieri, mi si è rotta la testa in cinque pezzi, come è successo alla luna di cui parla Joyce Lussu:

“La luna si è rotta.
Si è rotta in cinque pezzi che galleggiano nel cielo
squallidamente
come cinque cocci di scodella.
Era una luna piena e luminosa
che aveva un’aria abbastanza felice.
Lì per lì ho creduto che i cosmonauti e i satelliti
artificiali l’avessero offesa in qualche modo.
Ma poi ho capito ch’era tutta colpa mia.
La guardavo fissamente con pensieri tristissimi e scomodi
e tutt’a un tratto – trac – si è rotta in cinque pezzi
quasi senza rumore.
Certo sono i miei pensieri che l’hanno urtata
in un momento in cui si sentiva particolarmente fragile.
Questi pensieri delle donne liberate sono una cosa complicata
e la luna ch’è tonda e semplice ci si trova male.
Preferiva le donne d’un tempo dalle pallide spalle
dai capelli lunghissimi
dedicate a tessere la tela dell’amore devotamente
e quando passeggiavano la notte coi loro amanti
lustrava loro gli occhi e i capelli
per farli sembrare più belli e aiutarle un poco.
Adesso ci sono le donne che camminano svelte e diritte
che prendono il tram e l’autobus per andare al lavoro.
Certo avrebbero bisogno della luna anche loro
di un riflesso più dolce nei capelli e negli occhi.
Ma la luna si è rotta
e nel cielo vagano i cocci.”

Ilaria Serpi

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Foto scattata da: Barcelos_fotos
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