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C’È ANCORA IL CINEMA

C’È ANCORA IL CINEMA

Mi viene da pensare che c’è ancora il cinema, per fortuna, a proporre riflessioni profonde su temi che attraversano la società, spesso in anticipo sui tempi e più interessanti del dibattito mainstream.

Ne sono un esempio due film ancora nelle sale, uno italiano e uno francese, che in modi diversi analizzano le dinamiche all’interno della famiglia e della coppia. Sono “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, e “Anatomia di una caduta” di  Justine Triet. 

Grande successo per il primo in Italia e per il secondo in Francia. Tanto pubblico in sala per quello italiano non era sicuramente scontato, visto che è un film in bianco e nero che parla di una famiglia nel dopoguerra. É stata una sorpresa per tutti, e questo successo un significato deve averlo. Tantissimi spettatori anche per il film francese, stesso tema della famiglia, e per di più lento, non facile, proposto in molti cinema in lingua originale.

Ho visto entrambi i film, e non riesco a non pensare che abbiano qualcosa in comune, che il successo trasversale che hanno avuto è un bel segnale davvero.

Nel film italiano Delia è una casalinga nella Roma del dopoguerra, con un marito, Ivano, tre figli e un suocero da accudire. É una famiglia modesta, Delia lavora come può anche fuori casa, ma non è mai abbastanza per il marito. Ivano alza le mani spesso, ogni volta che reputa Delia manchevole, anche solo per un buongiorno dato con troppo slancio, come nella scena iniziale del film, il buongiorno si vede dal mattino..Ivano non può accettare che la sua autorità venga messa in discussione, che Delia nonostante tutto sia vitale, che conservi da qualche parte una sua volontà. Delia è una donna del suo tempo, accetta questa condizione, ma ha un sogno a cui non è disposta a rinunciare.

Il film è pieno di ironia, delicatezza, ma è anche molto toccante. La vitalità della protagonista rimane dentro come qualcosa di prezioso, una possibilità per tutti: un modo di essere perseveranti, tenaci, che definirei tipicamente femminile (altro che che la goccia è solo goccia, come dice qualcuno…).  Ricordo di essere tornata a casa carica, come se un pò di quella normalità che si insinua dentro di noi e ci spinge ad accettare inconsapevolmente, giorno per giorno, tante piccole “rinunce” personali, fosse stata in qualche modo rimessa sul piatto.

Nel secondo film una coppia di scrittori, lui francese, Samuel, lei tedesca, Sandra, vive con il figlio non vedente di 11 anni in uno chalet di montagna in Francia. Hanno iniziato a scrivere insieme, a Londra, ma adesso lei è una scrittrice di successo, e lui un professore che non è mai riuscito a finire un libro. Il figlio ha perso la vista a 4 anni in seguito ad una dimenticanza del padre. Nelle scene iniziali del film Samuel viene trovato morto sulla neve davanti casa proprio dal figlio, di ritorno da una passeggiata con il cane. Potrebbe essersi suicidato, o potrebbe averlo ucciso la moglie, l’unica in casa al momento della morte. Non sappiamo come siano andate le cose, non abbiamo nessun elemento oggettivo per capirlo, ma Sandra, la protagonista, appare come una donna distante, poco espansiva anche con il figlio, in qualche modo siamo portati a giudicarla colpevole solo perchè non è una moglie e una madre canonica.

La seconda parte del film, con il processo a carico di Sandra, cambia la percezione che abbiamo di lei. Le registrazioni di alcune liti tra i due vengono ascoltate in aula, Samuel accusa la moglie, tra le altre cose, di dover dedicare al figlio più tempo di lei e di non poter scrivere per questo. Le accuse però vengono smontate dalla donna punto per punto. Sandra sembra riuscire a capire profondamente Samuel, i suoi sensi di colpa, i suoi alibi, ma non intende giustificarlo, vuole scuoterlo. Quella che nella prima parte del film ci sembrava una donna distaccata, ci appare adesso, nel confronto con il marito, come una donna centrata, certa del suo valore, ma anche del suo amore nei confronti del compagno e, anche per questo, libera, poco disposta a consolarlo o a chiedere scusa per il suo successo.

Questa certezza di sè della donna, invece di calmare Samuel, di consentirgli di ricevere qualcosa da lei, ne fanno emergere la fragilità, che si trasforma in aggressività, a mano a mano che Sandra ribatte alle accuse dimostrandone la pretestuosità. 

Il finale del film è ambiguo, credo che la regista lasci volutamente nel dubbio se Sandra sia una donna fredda e per questo “colpevole”, o soltanto una donna libera, sta a noi cogliere le sfumature. A me convince la seconda ipotesi, e l’idea che in questa inversione di ruoli all’interno della coppia, nell’incapacità di Samuel di accettarla, ci sia l’origine della caduta rovinosa del rapporto.

Il film ha anche altri aspetti interessanti ma mi ha colpito molto questa dinamica. Mi fa venire in mente che a volte siamo proprio noi donne a non accettare un cambiamento dei ruoli nella coppia, a confondere gli uomini: cerchiamo compagni concreti, che ci risolvano i problemi, ci proteggano, ma non sappiamo affatto accettarne le fragilità, in un rapporto che sia scambio rispettoso delle differenze, senza ruoli precostituiti.

É un argomento complesso, rischio di banalizzarlo parlandone in poche righe, ma qualcosa mi pare si stia muovendo nella società su questo tema. Le manifestazioni contro la violenza sulle donne di questi giorni, molto partecipate da giovani uomini e donne, per quanto confuse e strumentalizzate dalla politica, danno speranza. C’è l’intuizione che qualcosa non va nella società, nei rapporti tra le persone, e di conseguenza nella famiglia, nella coppia. C’è una solitudine, un deserto anche emotivo, un’assenza di riferimenti e di pensiero che fa stare male.

Le nuove generazioni non accettano lo status quo di un mondo dove forse il patriarcato non c’è più nella forma in cui lo conoscevamo, ma c’è sicuramente un potere dal volto ancora troppo maschile, in qualche modo un potere “distruttivo”, che fa guerre, se ne frega dell’ambiente, delle disuguaglianze, del lavoro, del futuro dei giovani. Impegnarsi per cambiare questa realtà dovrebbe essere un problema e una ricerca di tutti.

Il testo della canzone di Daniele Silvestri alla fine del film di Paola Cortellesi credo dica tanto di uno stato d’animo condiviso da molti, eccolo…

A bocca chiusa

Fatece largo che
Passa domani, che adesso non si può
Oggi non apro perché sciopererò
E andremo in strada co’ tutti gli striscioni
A fare come sempre la figura dei fregnoni
Ma a me de questo sai, non me ne importa niente
Io oggi canto in mezzo all’altra gente
Perché ce credo o forse per decenza
Che partecipazione certo è libertà
Ma è pure resistenza

E non ho scudi per proteggermi né armi per difendermi
Né caschi per nascondermi o santi a cui rivolgermi
Ho solo questa lingua in bocca
E forse un mezzo sogno in tasca
E molti, molti errori brutti
Io però li pago tutti

Fatece largo che
Passa il corteo e se riempiono le strade
Via Merulana così pare un presepe
E semo tanti che quasi fa paura
O solo tre sfigati come dice la questura
E le parole, sì lo so, so’ sempre quelle
Ma è uscito il sole e a me me sembrano più belle
Scuola e lavoro, che temi originali
Se non per quella vecchia idea
De esse tutti uguali

E senza scudi per proteggermi né armi per difendermi
Né caschi per nascondermi o santi a cui rivolgermi
Con solo questa lingua in bocca
E se mi tagli pure questa
Io non mi fermo, scusa
Canto pure a bocca chiusa

Guarda quanta gente c’è
Che sa rispondere dopo di me
A bocca chiusa
Guarda quanta gente c’è
Che sa rispondere dopo di me
A bocca chiusa

A bocca chiusa
A bocca chiusa
Guarda quanta gente c’è
A bocca chiusa
Guarda quanta gente c’è
A bocca chiusa

Perla B.

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Foto scattata da: Garon Piceli
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