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Speranza e responsabilità 

Speranza e responsabilità 

Ho letto con attenzione l’ articolo su questo sito della dott.ssa Valeria Verna e mi ha dato modo di pensare parecchio. Quindi ho accolto la sua provocazione e ho rivisto L’attimo fuggente. 

Devo dire la verità, il film che cita non mi è mai piaciuto molto, forse perché l’ho visto da adolescente a scuola e mentre la prima parte mi aveva coinvolto, stupito, appassionato poi il finale mi aveva colpito come una legnata in testa. Mi ricordo che mi era rimasta una brutta sensazione addosso, come se dovessi essere disperata per forza. Nei giorni successivi mi chiedevo se i professori ce lo avessero fatto vedere per la prima parte, viva e ribelle o per il finale. Come per volerci dire che chi vuole uscire dal seminato finisce male. 

Negli anni poi ho pensato che il professor Keating nel film fallisce per due ragioni. Per prima cosa pensa di essere solo esclusivamente perché gli altri insegnanti sono reazionari e si schierano contro di lui e non considera invece che lui è insieme a quei ragazzi che di fronte alla violenza di un compagno che si uccide reagiscono continuando la loro ribellione, salgono sui banchi tutti insieme e chiedono al professore di non lasciarli, di non deluderli. Invece lui se ne va schierandosi con chi voleva lui e gli studenti obbedienti e tutti uguali.

La seconda ragione per cui il professore fallisce secondo me è che pensa che basti accendere una scintilla di speranza perché poi essa diventi un fuoco caldo e duraturo. Vuole la libertà, ma non la responsabilità che questa comporta. Invece la speranza è una cosa rischiosa: è rischioso non averla, ma anche averla, se si è fragili. 

Quando la speranza non c’è ci si trova dentro una specie di sonno senza sogni in cui si è destinati a ripetere la vita dei propri padri: non si scoprono e conoscono le cose, ma si imparano concetti, non si cerca qualcosa di nuovo perché non si pensa nemmeno che possa esistere. Si sopravvive sonnacchiosi, ci si accontenta di possedere cose, ci si adegua al mondo così com’è. Si perde la fantasia che ci farebbe immaginare possibilità inesplorate. 

Ma se la speranza c’è e c’è anche la fantasia, l’immaginazione e la voglia di cambiare le cose può essere altrettanto rischioso quando si viene delusi. Soprattutto se si è giovani adolescenti come nel film. È qui che il professore mi fa incazzare: è compito nostro, degli adulti, provare a non deludere e se questo avviene (perché talvolta succede) dare la possibilità ai ragazzi di non arrendersi e di mandarci a quel paese. Invece lui se ne va, oltre il danno la beffa. 

Avere speranza significa purtroppo dire tanti “No!”. Non solo a chi è considerato un avversario, ma anche spesso a chi è più vicino a noi. Ed è giusto, ma fa male. Ci si può sentire soli o cattivi. È lì che gli adulti hanno una qualche utilità: poter raccontare ai ragazzi di quella volta che ho detto no e sono sopravvissuta, sono cambiata, ho avuto paura, è stata dura, ma ci sono riuscita. Ma anche di quella volta che ho detto no e poi sono tornata sui miei passi perché era troppo doloroso e invece poi le cose si sono rovinate, io sono diventata diversa, più brutta. Era meglio soffrire, ma essere se stessi. 

Insomma iniziamo il 2023 con tanti no, cerchiamo di tenere il punto, di non accontentarci, di non adeguarci. Allora chiederei alla dott.ssa Verna: “Ti va di scrivere insieme un nuovo finale per il film?”. Potrebbe essere così: i ragazzi salgono in piedi sul banco e non ci pensano proprio a chiedere addolorati di essere guidati (e comandati) da un capitano. A quel punto tutti insieme dicono: “Caro professore, se lei vuole lasciare faccia pure, io col cavolo che mollo!”. Valeria ti piace o magari ti viene in mente un finale ancora meglio?

Iniziamo l’anno con la responsabilità di far vivere una speranza, quella di poter cambiare il mondo, noi e gli altri. 

Gioia Piazzi

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