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LUNA BLU

LUNA BLU

“Sai perché la luna sembra diversa stasera? Perché ha un’orbita ellittica e stasera è più vicina. Sembra più grande. E’ bella vero?” Sono sul piccolo terrazzo di un uomo tra le fragole e i peperoncini con la luna come abat jour. Lo guardo nella penombra e mi chiedo se si riferisce alla luna o ad altro. Non glielo chiedo. Voglio godermi l’incertezza. Lo osservo di nascosto e mi rendo conto che lui non “chiacchiera” mai. Mi racconta tutta la sua giornata, ma non per fare conversazione. Mi porta con lui nei suoi giorni. Non si sente mai in dovere di riempire i miei silenzi. E se gli racconto qualcosa e non sa cosa dire, rimane zitto. Non sente l’obbligo per educazione di rispondermi.

Parlare e’ una strana forma di essere per gli umani. Può svelare, può nascondere, può essere usata per curare o per far male. Può avvicinare o allontanare. Però ci dimentichiamo che non è l’unica cosa che esiste per comunicare.

Mi vengono in mente i titoli sensazionalistici dei giornali e poi se leggi l’articolo ti accorgi che non ha contenuto. Penso alle parole dei politici cosi vuote, così bugiarde. Ancora peggio penso ai social in cui miriadi di parole vengono gettate in uno strano nulla in cui nessuno ascolta. Ho quasi la sensazione che siano frasi sparate contro gli altri, contro tutti, contro il mondo. In questo tempo parliamo troppo, blateriamo troppo, facciamo troppo rumore.

Mi torna in mente il lockdown del 2020. Quel silenzio per le strade quando incontrarsi era un lusso che non avevamo e una telefonata con un’amica era un’occasione preziosa e forse sceglievamo le parole con più cura. Ci prendevamo il tempo di parlare veramente. Forse tanti si sono angosciati per quel silenzio che non poteva essere riempito di cazzate.

Ora mi vengono in mente tutti quei bambini che parlano tardi. Quelli di cui ci preoccupiamo e che portiamo dal logopedista e poi dallo psicoterapeuta. Forse invece, in tutto il rumore del mondo, loro aspettano di sentire un suono. Da psichiatra dovrei dire che parlare in realtà è una roba complicata e quei bambini hanno fatto fatica a trasformare la bocca da qualcosa che prende dall’esterno latte materiale per metterlo dentro di sé, in qualcosa in grado di far uscire da dentro di loro, verso l’esterno, qualcosa di molto meno materiale: il suono della loro voce. Risposta forse corretta, formalmente elegante, eppure stasera non mi basta. E se dentro quel silenzio ci fosse (anche) un rifiuto? Il rifiuto di partecipare inutilmente al rumore del mondo. O forse di più, c’è la pretesa che ci si possa capire anche senza parlare. Forse dentro la voce umana, dentro ogni voce umana e dentro le tante lingue diverse del mondo c’è qualcosa di molto speciale. Forse dovremmo stare più attenti a non sprecarlo.

Una voce mi fa tornare tra le fragole e i peperoncini: “Lo vuoi latte e menta?”. “Si”. Non dico “Grazie” come mi hanno insegnato. Quel “grazie” così educato. Stasera non ce n’è bisogno.

Gioia Piazzi

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