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LA CURA

LA CURA

In questi giorni, prendendo spunto dall’episodio della psichiatra Barbara Capovani uccisa dal suo ex paziente, episodio di cui parla anche Gioia Piazzi nel suo ultimo articolo, è ritornata alla luce la solita diatriba riguardante la legge Basaglia. Non intendo affatto inserirmi in questa discussione tra chi è a favore e chi è contro la legge Basaglia, sta di fatto che io sono convinto che la libertà di per sé non curi assolutamente nulla. Mi rimane sempre piuttosto difficile pensare che se una persona crede che il suo vicino di casa sia il demonio, possa cambiare idea dopo una bella passeggiata all’aria aperta. Inoltre credo che la violenza stia nella malattia mentale ma questa violenza di solito è contenuta in un ambito psichico e raramente dà luogo a comportamenti violenti. 

Ma, al di là dello scontro tra queste due scuole di pensiero, l’elemento che tiene tutti d’accordo riguarda il fatto che servono più operatori nei servizi pubblici di salute mentale, siano essi psichiatri, psicologi o infermieri. 

Io però voglio essere politicamente scorretto e pormi un’altra domanda: cosa si intende per cura in psichiatria? Se un ragazzino viene ricoverato per una crisi psicotica, oltre a rincoglionirlo di farmaci, c’è qualcuno che sia in grado di spiegargli, di interpretargli il motivo per cui ha fatto questa crisi? Non qualcuno che chieda al ragazzo perché è entrato in crisi – perché il ragazzo non lo sa – ma un terapeuta che sia in grado di dirgli perché ha fatto la crisi, perché questo forse potrebbe calmare il ragazzo molto più di centomila farmaci che comunque in certe situazioni sono assolutamente necessari, per carità, ma non possono essere l’unica modalità di intervento. 

Nella psicoterapia ormai si tende solo ad un contenimento, si parla di “gestione” della rabbia, “gestione” dell’ansia e così via. Ma cosa c’è da gestire? Ma l’ansia e la rabbia avranno una causa, da dove derivano? Dobbiamo considerarle elementi naturali dell’individuo o geneticamente determinate? La ricerca sull’eziopatogenesi sembra ormai sparita, ridotta alla ricerca del solito gene introvabile responsabile di questo o quel disturbo. Gene che sarebbe attivato da un generico elemento ambientale non meglio identificato. 

Ricordo che qualche anno fa uno psichiatra con cui collaboravo nella cura di una giovane paziente, volle assolutamente ricoverare la ragazza di 18 anni in un SPDC perché si era tagliata. Lui riteneva che, siccome si era tagliata dopo che era stata lasciata dal ragazzo, voleva dire che era depressa e che quindi aveva tentato di uccidersi. Il livello è purtroppo questo! E d’altronde capisco il povero psichiatra che si angoscia perché non ha alcuno strumento per comprendere la dinamica interna della ragazza, ha il suo bravo DSM5° sotto il braccio e con quello agisce di conseguenza. Non sa minimamente che la ragazza poteva aver fatto una crisi di anaffettività per l’abbandono subìto, abbandono a cui aveva risposto con un annullamento e tagliarsi poteva essere un modo per cercare di ritrovare un sentire almeno fisico. Ma di uccidersi non le passava neanche per l’anticamera del cervello! Parlare di queste cose allo psichiatra era come parlargli in cinese. 

Ho sentito giovani colleghi che hanno frequentato le scuole di specializzazione in psicoterapia che mi hanno riferito che sono gli stessi docenti che hanno detto loro di scordarsi di pensare che cureranno i pazienti. Qualcuno dei docenti si è spinto più in là arrivando a dire che semmai è il contrario, che saranno i terapeuti a curarsi attraverso i pazienti!

Ho assistito personalmente alla discussione di una tesi di laurea in cui una brillante laureanda ha osato parlare di cura per la guarigione e il relatore ha avuto una reazione violentissima per poi andare in dissociazione e parlare per un quarto d’ora di seguito dicendo cose senza senso!

Nei film e nelle serie tv ci mostrano in continuazione lo psicologo di turno che è, nella migliore delle ipotesi, un amico del paziente, lo fa sfogare, è comprensivo. Ma cosa c’entra tutto questo con la cura? Boh! 

Dicono che sia necessaria una maggiore presenza di psicologi nelle scuole per fare prevenzione: anche qui, facendo il politicamente scorretto, ma lo sapete che se in una scuola c’è uno psicologo con una determinata formazione dirà cose completamente diverse da un altro che ha una formazione diversa? Non c’è un’idea comune sulla fisiologia dell’essere umano per ciò che riguarda l’aspetto mentale. 

Per me è indiscutibile che se si vuole affrontare la cura della malattia mentale occorre occuparsi della realtà invisibile, che possiamo chiamare irrazionale, inconscio o meglio ancora, pensiero non cosciente. 

Ma proprio perchè parliamo di qualcosa di non visibile, non misurabile, non quantificabile, rimaniamo nell’ambito del non dimostrabile.

Come se ne esce?

Forse deluderò qualcuno ma io credo che al momento attuale la risposta stia nel paziente, che deve prendersi la responsabilità della propria cura. Certo, in ambito pubblico la scelta non è sempre facile ma è comunque possibile.

E allora che ognuno si scelga la cura che preferisce: chi vuole la pillola che gli risolva i problemi, chi vuole andare a sfogarsi, chi trovare la tecnica infallibile e chi vuole mettersi in discussione e cerca una trasformazione profonda.

Sono convinto che la scelta sia sempre presente e penso che ognuno abbia poi in fondo il terapeuta che si merita! 

Marco Michelini

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Foto scattata da: Dream+ Photo
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