CHEEK TO CHEEK (cic2cic)
Sono nel pieno dell’anno scolastico e del lavoro allo Sportello di Ascolto detto affettuosamente CIC.
Ogni anno cambia tutto in questo lavoro.
All’inizio pensavo che fosse per il passaggio dall’attività in presenza al lockdown, per i colloqui effettuati online mentre erano tutti a casa e poi per quelli effettuati quando già si poteva di nuovo uscire di casa. Poi però ogni anno continua a stupirmi e a mettermi alla prova. Sarà per qualcos’altro che è diversa l’esperienza del CIC ogni anno. Forse questi ragazzi liceali che pensiamo solo alle prese con gli impossibili esercizi di fisica o le interrogazioni di storia o che pensano solo alle avventure amorose o a farsi gli aperitivi in centro, non sono solo questo. Sentono, reagiscono e dentro si smuovono per molto di più.
Forse la guerra, forse la politica, forse la siccità sono stimoli che li fanno reagire in qualche modo.
Utilizzare tutti questi “forse” è solo retorica, non offendetevi!
Ho conosciuti ragazzi che chiedono. E fanno domande profondissime e difficilissime. Non nel senso di un quiz o di una elaborata questione esistenziale. Ma domande vaghe che si possono cogliere solo indirettamente da quello che riescono a dire in un primo momento: come vado nel futuro se sono ancorato al passato? Se una persona non la vedo più è come se fosse morta? Cosa succede quando qualcuno muore? Ma io cosa ci faccio con quello che ho vissuto con chi non c’è più? Cosa mi ha portato via chi se ne è andato via? Come faccio a innamorarmi se poi finisce?
Capite la mia difficoltà? Le domande poste sono davvero toste.
Ma la difficoltà è che non mi vengono poste proprio in questo modo. Il primo grande lavoro da fare allo Sportello di Ascolto è appunto l’ascolto. E quindi comprendere cioè intuire che dietro quello che mi viene detto c’è in realtà una domanda diversa. E poi aiutare i ragazzi a porsela in questo modo. Vuol dire aver già tanto elaborato il proprio malessere riuscire a farsi la domanda giusta. Vuol dire aver rimesso in moto la propria capacità di comprendere quello che si sente.
E poi…in genere poi l’anno scolastico finisce e il CIC va in vacanza insieme agli studenti (più o meno, perché lo sportello in fondo è sempre lì a ricevere le richieste dei ragazzi). Allora è vero che poi tutto finisce? Che è inutile provare a parlare con qualcuno? O addirittura fare la fatica bestiale di mettere in correlazione il dolore, la confusione, l’ansia, la freddezza che si sentono con quelle domande?
Me lo chiedo anche io preoccupata certe volte. In fondo il CIC non è come un percorso di psicoterapia regolato, così si può dire, da un setting cioè da un contratto tra le parti, da un accordo per cui ci si ritrova regolarmente, ad un appuntamento prestabilito, anche dopo le vacanze per esempio. Poi non tutto fila liscio in questi casi ma è questa è un’altra storia (e dovremo magari parlarne).
Il CIC è un fatto di libertà. Un rapporto libero per cui se hai qualcosa da dire o da chiedere vieni da me altrimenti torni la prossima settimana, tra due mesi o addirittura l’anno prossimo. Il CIC mi ha cimentato a stare in un rapporto libero come questo.
Le domande che i ragazzi si pongono possono anche restare senza risposte precise e approfondite in un primo momento. A volte ciò che resta sono proprio queste domande. Che restano libere.
E allora negli anni che verranno i ragazzi potranno portarsele ovunque e porle ancora e ancora a qualcuno facendo la propria ricerca.
Possono chiedere ancora a me o a qualcun altro. Non sono gelosa. Questo è un rapporto libero.
Maria Giubettini
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