DUE PAROLE SULLE ADOZIONI
Un elemento fondamentale della preparazione psicologica dei genitori adottivi che non viene mai menzionato
Il panorama delle adozioni è vastissimo, articolato, impossibile da catalogare o etichettare.
Tante storie diverse inutile tentare di accomunarle in un discorso univoco. Molto spesso si tratta di incontri tra culture diverse, ovviamente tra diverse generazioni e parlarne come se si trattasse di qualcosa di definito è semplicemente assurdo.
Ciò che si può dire è che ci sono quasi sempre delle enormi aspettative da parte dei genitori che talvolta però non sono psicologicamente preparati ad affrontare questa esperienza. Pensare di accogliere in casa propria un bambino che fino ad allora era stato in un istituto può dar luogo ad aspettative che spesso si scontrano con la realtà. Come detto è impossibile generalizzare ed io mi limiterò veramente a due parole.
Adottare un bambino è una delle cose più belle che un essere umano possa fare, al di là di quelle che sono le motivazioni che hanno portato a questa scelta. Sappiamo tutti quanto sia lungo e laborioso il percorso che porta all’adozione. Tanti passaggi impegnativi alla fine dei quali si pensa che la parte difficile sia terminata, ma non è così.
La naturale diffidenza di un bambino che ha già sulle spalle un passato difficile da una parte, e la voglia di sentirsi mamma e papà dall’altra, possono dar luogo a cortocircuiti di difficile soluzione.
Ma non è di questo che voglio parlare perché di questo si è detto fin troppo. Oggi invece vorrei accennare ad una dinamica piuttosto frequente e della quale non si parla.
Proviamo ad immaginare un bambino che fin da piccolissimo subisce una serie di abbandoni e maltrattamenti. Da notare che per un bambino piccolo anche la morte di un genitore è vissuta come un abbandono che genera rabbia. Come fa a sopravvivere psichicamente di fronte a ciò che a lui appare, e spesso lo è, come una violenza terribile? Non mi riferisco soltanto a quella naturale e cosciente diffidenza e sfiducia nei confronti degli adulti, difficile immaginare che non sia così.
Ma io voglio pensare invece ad un’altra reazione, non cosciente, che è probabile metta in atto per poter andare avanti nonostante tutte quelle delusioni. Spesso l’unica cosa che riesce a fare è rendersi indifferente, anaffettivo, fantasticare che il suo rapporto affettivo con le figure di riferimento deludenti e violente non sia mai esistito mettendosi così addosso uno strato di vetro che lo riparerà e lo renderà immune alla sofferenza e al dolore. Il punto cruciale da comprendere è che se nel corso del tempo si riesce a creare un rapporto affettivo valido e di fiducia col bambino, ed è ovviamente auspicabile che questo avvenga, questa corazza si romperà. Ma è facile pensare che al di sotto di questa corazza ci siano rabbie e odi che il bambino non si era più potuto permettere di vivere e che solo in un rapporto valido può far emergere. Se tutto va bene il bambino si troverà infatti “costretto” a ritrovare quella speranza in un rapporto umano che in passato è stata causa di tanto dolore e lo farà passando per crisi anche molto violente. È in questo fondamentale passaggio che i genitori devono resistere comprendendo il bambino senza diventare autoritari o disperati. Questo è infatti il periodo più delicato e difficile, e non è detto che sia breve, tutt’altro, ma nello stesso tempo è anche il più importante. È qui che ci si gioca tutto, la possibilità che il rapporto evolva in un senso o nell’altro e conseguentemente che il bambino possa ritrovare uno stare bene perduto oppure ammalarsi definitivamente.
I genitori devono comprendere che quelle reazioni talvolta molto violente possono essere segnali di qualcosa che sta andando per il verso giusto. Finalmente il bambino si può permettere di vivere ciò che fino ad allora gli era stato impedito e lo farà nell’unico rapporto che in quel momento egli sente come profondo e affidabile. Ma è spesso purtroppo proprio in questa fase, necessaria e auspicabile, che invece i genitori, impreparati e presi alla sprovvista, rischiano di far fallire tutto, ritraendosi, diventando iper educativi, ponendo regole rigide, deprimendosi, sentendosi falliti o addirittura dando dell’ingrato al bambino, o arrivare alla resa totale dicendosi in fondo non è figlio nostro. Ripeto non sto dicendo che le cose vadano sempre così però di queste cose non ne parla mai nessuno anche perché spesso non si hanno gli strumenti teorici per poterne parlare.
Occorre ricordarsi che dovrebbe essere il bambino ad avere bisogno dei genitori e non viceversa perché se c’è il bisogno di sentirsi dire sei la mamma più bella del mondo è poi difficile reggere quando ci sono le reazioni di cui ho parlato.
Non vorrei essere frainteso, non sto dicendo che a causa della sua storia tormentata bisogna accettare qualsiasi reazione del bambino/ragazzo senza battere ciglio. Dire dei NO è importantissimo ma se quei no vengono detti perché si comprende la situazione interna del bambino e non come reazione rabbiosa, si eviterà di entrare in un pericoloso rapporto sadomasochistico il cui esito è spesso catastrofico.
La mia intenzione, con queste righe, non è rovinare un sogno legittimo ma preparare i futuri genitori ad un’eventualità non così tanto remota. È infatti in questa fase di rapporto, così difficile ma allo stesso tempo ricca di possibilità, che ho visto andare in frantumi intere famiglie, per non parlare delle restituzioni, che sono in continuo aumento.
E allora cara mamma ricordati che sarai davvero la mamma più bella del mondo se avrai continuato ad amarmi anche quando ero incazzato nero, apparentemente senza motivo, facendomi così capire che un altro mondo è possibile!
Marco Michelini
Due parole sul tema ma preziosissime poiché a mio parere portano l’attenzione proprio sull’aspetto piu difficile del percorso adottivo che non finisce con l’arrivo del figlio/a in famiglia. Piuttosto é proprio l’inizio di un viaggio che durerá per tutta la vita.
La nuova famiglia sale su una nave, e si troverá ad affrontare bellissimi momenti di mare calmo e tante tempeste inaspettate. E’ fondamentale non perdere il timone, continuare il viaggio senza che qualcuno sia costretto a scendere perché si sente troppo male..
Affinché questo avvenga bisogna avere le risorse interiori per reagire, resistere, essere empatici rispetto ai movimenti del bambino, avere la capacitá di non cadere in un rapporto rabbioso, e questo é tremendamente difficile, credo lo scoglio piu grande. A volte ci si sente soli, frustrati e non capiti. Per questo, rivolgersi a degli specialisti é fondamentale.
E ’innegabile che sentirsi dire di essere la mamma migliore del mondo scaldi il cuore, ma poi bisogna anche essere pronti ad accettare e reggere a livello interiore quando viene detto “tu non sei mia madre e non mi comandi”… Difficilissimo gestire il conflitto e riconosce il capriccio dal sano sfogo del bambino che ti spinge fino all’estremo con comportamenti provocatori, che si concludono con la frase “mamma ma anche se io mi comporto male tu mi vorrai sempre bene.. non mi riporti indietro..?!.. E no, non ci penso proprio figlio mio.. io ci sono e ci saró sempre. Anche li, il cuore si scalda e ci si lascia andare in abbracci infiniti, che danno la speranza reciproca di un altro mondo possibile.
La paura di sbagliare é tanta ma non bisogna arrendersi. La famiglia del mulino bianco non esiste, e nemmeno ci interessa..
Mi auguro che ci sará modo di approfondire questo argomento, magari in incontri futuri su Papillon.