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LE IDEE CHE DOBBIAMO DIFENDERE

LE IDEE CHE DOBBIAMO DIFENDERE

Sono varie settimane che su questo blog si succedono articoli interessanti che affrontano da vari punti di vista la mostruosa guerra che è piombata in Occidente all’improvviso.

È dura mantenere questo filo anche perché il continuo susseguirsi di notizie su giornali e telegiornali ci da la sensazione che si dica tutto, sia tutto nitido, troppo nitido. Ogni trenta minuti c’è un aggiornamento, quasi non si ha il tempo di metabolizzare ciò che si è letto che già esce un nuovo articolo. Eppure, si ha contemporaneamente la sensazione di non cogliere completamente il senso di quello che sta accadendo.

Sono d’accordo con Marco Michelini e con Luigia Lazzaro quando dicono che la violenza che ci ha colto di sorpresa è spaventosa perché senza senso. E sono anche convinta che i ragazzi del liceo Grassi, Autori dell’articolo uscito la settimana scorsa, abbiano ragione a contrapporre la bellezza all’orrore che ci sta investendo. Penso però che la bellezza non basti, non davanti alla pazzia di trascinare l’umanità indietro di un secolo. Forse dobbiamo provare a capire meglio contro cosa questa violenza sia diretta, e dobbiamo prenderci il tempo necessario. Respirare, andare con calma a cercare le risposte.

Non credo di riuscire a trovare tutte le risposte ora, ma proverei a cominciare da quello che ha sconvolto il mondo nei due anni precedenti: la pandemia. Sono stati anni molto duri, terribili per le perdite che molte persone hanno subito, ma ci hanno costretto a fare i conti con la natura e il nostro precedente modo di vivere.

Nella testa delle persone si sono stampate a fuoco le immagini dei delfini al porto di Ostia durante il lockdown, i cervi liberi per le strade, i fiumi limpidi, il mare pulito. Immagini che ci hanno imposto di pensare al nostro impatto sul pianeta. Alla necessità di cambiare per arrivare, non a una crescita economica sempre maggiore, ma ad uno sviluppo diverso. Quelle sensazioni ci hanno fatto immaginare un futuro diverso possibile del quale avevamo perso la speranza (chissà quando e chissà perché).

Un’altra cosa nuova che è successa negli ultimi due anni è che le persone tra i 35 e i 45 anni hanno rifiutato il posto fisso, il lavoro a tempo indeterminato. I giornali le hanno chiamate “le grandi dimissioni”. Ma come? Proprio quella generazione che aveva fatto del precariato uno stile di vita? Quelli che si sono battuti per avere un contratto a tempo indeterminato per poter avere un mutuo, per poter fare dei figli? Si, proprio loro! O meglio, proprio noi. Non so cosa sia successo esattamente, ma nella nostra mente è comparsa l’idea che si deve lavorare per vivere e non vivere per lavorare come è stato negli ultimi 20 anni di crisi economica. Sembrerà una cosa banale, ma pensiamoci meglio: se le persone pretendono di respirare di nuovo, di spendere la vita in rapporti, passioni, emozioni e sono disposti a guadagnare meno per avere tutto questo, cosa potrebbe succedere? Magari potrebbe accadere che tutti noi decidessimo di dire “no”, che imparassimo a non avere paura di morire di fame e di freddo perché abbiamo sperimentato che avere tante cose (forse troppe), ma non avere più un’identità e energie da spendere per ciò che veramente si ama è molto peggio. E magari potrebbe succedere che, facendo tutti questi pensieri, cominciassimo a ridere in faccia a chi ha più potere di noi.

Allora bisogna rimettere la paura nella testa della gente. Obbligarla a pensare di nuovo alla sopravvivenza, alla violenza.

Mi chiedo se è per questo motivo che è scoppiata questa guerra. Forse per non far mai scoprire alle persone che la gioia di vivere può esistere?

Gioia Piazzi

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