NOSTALGIA
“La conoscenza è nella nostalgia: chi non si è perso non possiede.”
Inizio a guardare il film colpita e un pò disorientata da questa frase sullo schermo che apre il racconto. Ci penserò dopo, altrimenti mi perdo davvero. Il protagonista si chiama Felice, è cresciuto con una madre sarta nel rione Sanità, ma a causa di un tentativo di furto finito male a 16 anni è dovuto scappare, portato via dallo zio. Ha vissuto lontano, tra il Libano e l’Egitto, è diventato un imprenditore, si è sposato, tutto senza mai tornare a Napoli. A distanza di quarant’anni la madre sta male e Felice sente di doverla accudire. Quando lei muore non riesce però ad andare via. Percorrendo i vicoli del quartiere, andando per le sue salite, lentamente ritrova i luoghi familiari e i suoni di una lingua dimenticata. Riaffiorano continuamente dentro di lui immagini dell’amico d’infanzia Oreste, suo complice nel tentativo di furto e colpevole dell’omicidio che ha costretto Felice ad andarsene. Rivederlo diventa un tarlo, anche se tutti gli dicono che Oreste è diventato il boss del quartiere, è un uomo senza scrupoli e vorrà vendicarsi dell’abbandono. Felice si muove come se fosse possibile riannodare i fili e ripartire daccapo, lui e Oreste sono uguali, l’amicizia non si può tradire. Nonostante i consigli e gli avvertimenti decide di restare, e alla fine riesce ad incontrare il vecchio amico. L’epilogo è drammatico.
Il libro da cui è tratta la sceneggiatura è ispirato ad una storia vera. Mentre esco dal cinema ripenso alla frase con cui il film si apre, non riesco ancora a decifrarla. La fine del film è triste. Triste perchè penso a quanto il bisogno di ritrovare quello che si è perso, di riempire un vuoto, possa portare ad idealizzare il passato, a crearne un’immagine distorta. La delusione quasi riesco a toccarla.
A distanza di giorni mi torna ancora in mente questa storia. Il film si intitola “Nostalgia”, una parola che contiene nella sua radice greca un riferimento al dolore, ma non ci avevo mai pensato in questi termini. La nostalgia come trappola che impedisce di vivere il presente, che spinge a volgere lo sguardo indietro, per recuperare qualcosa che non potrà più essere uguale, e forse non è mai stato. Ripenso alla frase enigmatica con cui il film inizia. Cosa rende la nostalgia così ingombrante da rendere necessario tornare indietro materialmente sui propri passi per “possedere” il passato? É inevitabile questa lacerazione tra passato e presente per chi è andato via? Felice ritrova il Rione e la lingua della sua infanzia perdendosi nel labirinto dei vicoli. Sembra quasi che la memoria di quel luogo e della sua gente sia scritta dentro di lui e accessibile nel dialetto della sua adolescenza, così diverso dall’arabo. Mi fa pensare che la nostra memoria abbia una sua “lingua”, che dobbiamo frequentare per sentirla nostra, per comprenderla, non la possiamo trascurare.
É un tema che mi sta a cuore quello della nostalgia, perchè anch’io sono andata via da casa molto giovane. Nonostante la mia sia stata una scelta e non una fuga, sono dovuta ritornare molte volte prima di riconoscere profondamente e accettare cosa avrei trovato di bello, e cosa invece non ci sarebbe mai stato per me. C’è chi non torna più, e chi non si allontana mai. In questo senso mi chiedo: quanto si è disposti a sacrificare della propria libertà in cambio dell’appartenenza? L’appartenenza, in qualunque forma si esprima, ci dà punti di riferimento, ci fa sentire nel posto giusto, ma non zittisce quel disagio profondo, quel senso di estraneità a se stessi che si prova quando si perde il contatto con le proprie radici interiori, con la propria infanzia e adolescenza. Credo sia questa la spinta che porta Felice a cercare il vecchio amico, a giocarsi la vita. I ricordi però, anche se vivi, in qualche modo lo ingannano, i due amici sono diversi, e quello che per Felice è stato ed è il rapporto più bello ed importante dell’adolescenza, per l’altro non significa niente.
Ecco, la conoscenza allora forse è nella nostalgia intesa come memoria, patrimonio di sensazioni ed immagini personali ed intime, chiave per accedere a quello che siamo stati, al nostro passato, per non dimenticarlo mai ricreandolo continuamente dentro di noi, qualunque cosa facciamo e dovunque siamo, citttadini del mondo o persone che non hanno mai lasciato la propria terra. La memoria può essere forte anche se i ricordi sono vaghi. Chissà se era a questo che il regista pensava con la frase che apre il film…
Perla Baldassarra
Perla, mi piace tanto la tua frase “La memoria può essere forte anche se i ricordi sono vaghi”! Sintetizza e mette in evidenza la differenza, così importante, tra memoria e ricordo, spesso usate come sinonimi. Wow!