STO MALISSIMO MA NON CHIEDO AIUTO
Vorrei provare ad affrontare una situazione molto frequente, quella in cui si trovano spesso i ragazzi che stanno male ma si vivono come una sconfitta la richiesta di aiuto. Nella medicina organica non accade: sto male, mi fa male la gamba e vado dall’ortopedico e non c’è niente di cui vergognarsi. (Questo ci spiega forse perché i DSA, di cui tanto si discute su questo blog, siano così diffusamente ed acriticamente accettati, in fondo ormai vengono considerati disturbi organici). Ma se mi sento male psichicamente, soltanto l’idea di andare dallo psicoterapeuta viene spesso vissuta come un fallimento della propria vita, qualcosa da nascondere senza pensare che ammalarsi psichicamente è una caratteristica specificamente umana.
Proviamo a cercare di capire perché.
Riavvolgiamo il nastro e partiamo dalla nostra nascita. Appena nati la speranza di trovare un essere umano che si interessi a noi è quella che ci spinge immediatamente alla ricerca del rapporto. E sappiamo quanto sia importante questo rapporto per crescere e svilupparsi non soltanto fisicamente. Questa ricerca di rapporto non si esaurisce certo con la nascita. Diceva Marx: “l’uomo è un animale sociale”, questa spinta alla socialità caratterizza tutta la vita di ogni essere umano.
Ma proviamo a pensare cosa succede se qualcosa va storto, se quella speranza viene disattesa. Questo può accadere per molti motivi ma per adesso lasciamoli da parte. Cerchiamo di capire invece cosa può succedere ad un bambino che si trovi ad affrontare una delusione così grande. La prima cosa che sicuramente ci viene in mente è che il bambino si incazzi, pianga, urli e strepiti per ottenere attenzione, per ricevere quell’interesse così importante per svilupparsi umanamente. E di solito questi pianti e queste arrabbiature funzionano e riesce a ricevere le attenzioni che cercava. Talvolta invece non bastano e dopo tanti tentativi infruttuosi, quando la situazione non è più sostenibile, c’è il rischio che metta in atto quella fantasticheria patologica che consiste nell’annullare, far sparire affettivamente l’altro e il proprio rapporto con l’altro e quindi se stesso con il risultato di rendersi completamente indifferente, anaffettivo. Non soffre più, non piange più, non si arrabbia più. Non dà più “fastidio” agli altri. È tanto calmo e tranquillo ma in realtà si è ammalato, avendo perso quella speranza di rapporto che fin dalla nascita aveva costituito la sua identità umana. Ha “capito” che sperare nel rapporto con l’altro lo espone ad una sicura delusione, ha “capito” che gli affetti sono soltanto una debolezza, la vera forza sta nel non sentire nulla, nel non avere l’esigenza del rapporto umano. Ha trovato il trucco per non soffrire dell’anaffettività altrui, la sua corazza lo rende immune alla delusione.
Ma forse dobbiamo mettere almeno un altro tassello per riuscire a comprendere meglio. Spessissimo il bambino/ragazzo che si sente rifiutato, di questo rifiuto se ne fa una colpa. Non sono gli altri ad essere assenti e quindi violenti, sono io che sono talmente brutto e cattivo che inevitabilmente poi gli altri non mi vogliono bene.
Chiaramente qui sto soltanto accennando e semplificando moltissimo quelle che sono dinamiche prevalentemente non coscienti complesse però ci possono servire per farci un’idea di quello che c’è sotto questa diffusa difficoltà ad andare da uno psicoterapeuta e ci portano a pensare che invece colui che riesce ad andarci stia spesso molto meglio di chi proprio non ne vuole sentir parlare. Una speranza, piccola o grande che sia, in un rapporto umano possibile, in fondo se l’è mantenuta.
A questa situazione poi si aggiungono quei genitori che vivono come un proprio fallimento il fatto che il figlio vada in psicoterapia senza comprendere che spesso il ragazzo si sente stritolato dal dover fare alleanze con l’uno o l’altro dei genitori (un classico nel caso di genitori separati – ma non soltanto – laddove il problema non è la separazione in sé ma come questa venga effettuata) e riuscire a venire fuori da queste complicità imposte, parlando con una persona che in quelle alleanze non è coinvolta, gli fa immediatamente prendere una boccata d’aria che di solito si riverbera positivamente nei rapporti famigliari.
Ma torniamo a colui che, ormai ragazzo arrivato alla pubertà e adolescenza, sente una spinta interna al rapporto con l’altro esterno alla famiglia, a cui si contrappongono tutte le cose che abbiamo detto finora. Ed infatti è di solito in questo periodo che i nodi vengono al pettine. Tutte quelle cose che finora erano state più o meno contenute, esplodono. Il malessere si fa evidente e il conflitto tra la ricerca del rapporto e la certezza dell’impossibilità del rapporto stesso e la concomitante certezza che nessuno ci vorrà bene perché sappiamo di essere brutti e cattivi, con in più l’inevitabile crisi che un periodo così delicato impone, tutto ciò dà luogo ad una miscela esplosiva che può portare ad uno stare male insopportabile.
A tutte queste difficoltà dobbiamo aggiungerne un’altra non meno importante ed è quella di una certa mentalità ancora molto diffusa in certi ambienti, che possiamo condensare nella frase:
“Devi farcela da solo, se vai dallo psicologo sei un debole”, che vuol dire capire ben poco di realtà umana. Ribalterei infatti completamente il discorso: cercare il rapporto vuol dire non arrendersi e riuscire a tenere in sé una pur piccola idea di un rapporto umano possibile
È lo schizofrenico grave che non cerca il rapporto. Per cui fare tutto da soli non equivale ad essere forti ma ad essere matti. E qui non mi riferisco soltanto all’idea di andare da uno specialista ma almeno cercare conforto parlandone con gli amici. E invece molto spesso assistiamo ad una chiusura totale che nasconde l’idea di un’impossibilità di risolvere i propri problemi.
Sono tanti anni che faccio psicoterapia di gruppo e direi che è proprio con i ragazzi che il gruppo ha un valore essenziale anche perché scardina l’idea di essere l’unica persona al mondo ad avere quei problemi riscoprendo invece quanto dicevamo prima e cioè che stare male psichicamente riguarda gli esseri umani e non c’è niente di disumano e quindi niente di cui vergognarsi. Inoltre il gruppo permette ai giovani di venire fuori dal microcosmo famigliare, fino ad allora considerato l’unico mondo possibile, per scoprire invece che la realtà è ben diversa.
Oggi vi ho parlato di un tema che dovrebbe coinvolgerci tutti, dai più giovani ai meno giovani perché è fondamentale capire che certi problemi, se vengono affrontati per tempo, si risolvono piuttosto rapidamente e radicalmente. La cura c’è sempre per tutti e a qualsiasi età ma quando la malattia mentale cronicizza la terapia diventa più lunga e complessa. È troppo stupido pensare che una cultura retrograda e ignorante possa rendere ancora più difficile ad un ragazzo chiedere aiuto. Anche perché poi molto spesso, già il solo fatto di riuscire a fare quel maledetto e difficile primo passo, quella telefonata con il cellulare che pesa una tonnellata, ci fa ritrovare il sorriso prima ancora di sentire la voce di chi sta all’altro capo del telefono. Perché avere il coraggio di fare quella telefonata significa dire io esisto, sto male ma non sono brutto e cattivo, sono semplicemente umano.
Marco Michelini
Leggendo questo articolo mi torna chiaro il ricordo di quella telefonata di oramai 4 anni fa… è vero, pesava una tonnellata ma da lì (veramente proprio da lì) è iniziato il cambiamento, quello stare meglio che sembrava impossibile. Meravigluoso❤️
il tempo è passato ma il ricordo del rapporto umano con te, con il gruppo è sempre presente.
Bellissimo articolo!
Una boccata di ossigeno soprattutto per quegli adolescenti che pensano, anche per colpa di un pensiero dominante che purtroppo non li aiuta, che la sofferenza psichica sia un “male”, un “peccato” da nascondere e non una malattia che, come tutte le malattie, è possibile curare grazie a chi può rispondere con un rapporto umano sano e forse creativo alle domande che fino a quel momento non hanno trovato risposta.
Bellissimo e chiarissimo articolo..;) come dice l’autore questo tema dovrebbe coinvolgere tutti. Una boccata di ossigeno e soprattutto una visione dinamica della psicoterapia rivolta non solo agli adolescenti ma anche ai loro genitori. Non é sempre facile accettare di mettersi in discussione, di buttare via quella corazza che ci mettiamo addosso per paura di sentire …o per timore di essere giudicati. Allora mettiamoci a lavoro.. perché la cura esiste e anche la guarigione. 😉