“PROF, E’ CONTENTA? SIAMO DI NUOVO TUTTI INSIEME!”
Mi accolgono così i miei alunni della classe quinta il primo giorno di scuola. Hanno gli occhi che ridono e i loro sguardi solari mi lanciano immediatamente in un torrente di emozioni. Li osservo incuriosita. Cosa succede? Perché non hanno la solita aria sbuffante e semitragica dei “primi giorni di scuola”?
Mi ero preparata una bella lezione, avrei dovuto parlare del Naturalismo francese e di Zolà e invece mi rendo conto che non posso farlo, non c’entra nulla. Oggi è un giorno di festa, che gli alunni mi chiedono di condividere con loro. Si festeggia il ritorno a scuola, la possibilità di guardarsi, di” sentirsi”, di interagire, di essere insieme. Si festeggia la relazione. Me lo stanno dicendo con la loro aria felice (ed in fondo, negli anni, hanno sempre trovato il modo di dirmelo) che l’apprendimento, la motivazione, la scoperta, passano attraverso la relazione con i docenti e tra pari. Mi chiedo allora cosa è davvero mancato in questo tempo di pandemia, DAD e lockdown intermittenti. Certo per molti studenti sarà stato un tempo difficile, doloroso o depressivo che può aver leso parti profonde di sé ma per altri può essere stata l’occasione per sviluppare forme di resistenza interiori, realizzando una maggiore identità.
Penso allora che la vera “assente” di questi lunghi mesi sia stata la relazione e non perché gli strumenti digitali l’abbiano impedita ma perché la didattica di tipo tradizionale, basata sulla trasmissione dei saperi, miseramente naufragata di fronte ai pc, ai tablet o ai telefonini, conteneva già in sé l’assenza. Non è lo strumento a costruire la possibilità dell’apprendimento ma l’impostazione didattica, il pensiero con cui si entra in una classe e si realizza il rapporto, virtuale o in presenza. Come docente posso amare infinitamente Giacomo Leopardi ma se, mentre spiego i versi del poeta recanatese, non “vedo” i miei alunni, non ne percepisco l’attenzione, gli interessi, non conosco la loro storia, non costruisco con loro la comprensione o l’interpretazione, la mia passione non arriverà ed io avrò fallito il mio ruolo.
Il Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, nell’atto di indirizzo reso pubblico il 16 settembre 2021, scrive: <<È prioritario continuare a promuovere la sperimentazione e la diffusione capillare in tutte le scuole di nuove metodologie didattiche, orientare al superamento del modello di insegnamento tradizionale di tipo trasmissivo, incentrato sulla lezione frontale. (….) È necessario favorire lo sviluppo di una didattica per competenze, di tipo collaborativo ed esperienziale, per consentire una maggiore personalizzazione dei processi di apprendimento degli studenti>>
Leggo e rileggo le sue parole che sembrano importanti, finalmente concentrate sulle esigenze individuali degli studenti, eppure c’è qualcosa che non mi torna. Davvero la chiave di volta per una nuova idea di scuola è solo la sperimentazione di nuove metodologie didattiche, di nuovi strumenti? Non è forse necessario un cambio di paradigma, di pensiero? Non è forse urgente ripartire dalla relazione e dalle sue infinite possibilità di espressione? Io credo di sì. La mente allora ritorna ai miei studenti, alla loro domanda iniziale e penso: “ sì, ragazzi, sono molto contenta di stare di nuovo tutti insieme, qualsiasi cosa questo significhi.”
Sara Lazzaro
è proprio come dici tu, la relazione è il fondamento e te la devi sentire dentro! è faticoso, a volte vorresti liberartene perché è anche un peso, una ragnatela che ti avvolge e si aggiunge alle tante altre ragnatele con le quali viviamo e conviviamo ogni giorno. Ma queste danno senso e colore alla nostra vita , per questo insegnare ad apprendere è la professione più bella del mondo, perché la relazione ti accompagna per tutta la vita!