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OPPRESSIONE E DEPRESSIONE

OPPRESSIONE E DEPRESSIONE

Oggi vorrei parlare di un tema molto frequente nella psicoterapia degli adolescenti. Non si tratta ovviamente qui di affrontare tutto ciò che riguarda l’argomento depressione ma di vederne un aspetto che a mio avviso è estremamente importante.

Mi riferisco a quella situazione in cui c’è una identificazione ovvero l’introiezione non cosciente di una figura più o meno autoritaria che ci fa sentire male nel momento in cui si realizza qualcosa di particolarmente valido e vitale. Provo a spiegarmi meglio partendo da un sogno frequentissimo: stavo facendo l’amore con la mia ragazza ma ad un certo punto entra mia madre e ci rivestiamo di corsa. Qui dobbiamo pensare che nella realtà ovviamente non c’è nessuna madre che sia entrata durante il rapporto sessuale ma quella madre a cui si fa riferimento è un oggetto interiorizzato che funziona sostanzialmente da super-io, da giudice, da poliziotto e che quindi crea una dimensione di conflitto interno tra una spinta a realizzare qualcosa di valido ed un rimprovero severo interno. Questo possiamo trovarlo anche nella veglia in quelle situazioni in cui dopo avere fatto una bella realizzazione ci si sente malissimo. Spesso ci si rimprovera: sono stata troppo spontanea, troppo aperta, non sono stata al posto mio e cose di questo genere quando la realtà ci dice esattamente l’opposto. Oppure accade che dopo aver fatto qualcosa di bello, ad esempio un esame difficile superato brillantemente, viene una depressione fortissima. Qui appunto dobbiamo considerare quanto qualcosa che tanto tempo fa era esterna, cioè un giudizio violento e reiterato da parte di un genitore, una svalutazione, per una serie di meccanismi che qui non è opportuno approfondire, viene poi interiorizzata e quindi diventa parte della propria realtà interna ed è come se diventasse una seconda identità che tende per l’appunto a reprimere, a vietare e quindi a scontrarsi con la sana identità coesistente e si determina pertanto un conflitto interno, intrapsichico, insopportabile.

Questo conflitto interno insopportabile viene spesso “risolto” patologicamente, con due modalità, ambedue non coscienti. 

In un caso, proprio per evitare questo giudizio interno severo, il ragazzo vive molto al di sotto delle proprie possibilità e non si accorge nemmeno di essere depresso. È convinto di essere così, di non essere all’altezza. Non sente più quel morso interno perché quelle realizzazioni che invece sarebbero alla sua portata, le evita. Qui siamo di fronte ad una situazione di depressione che però non è minimamente vissuta come tale. Non c’è più nessuna madre che irrompe mentre fa l’amore con la ragazza perché lui l’amore con la ragazza non lo fa più! La sua ragazza non è quella che gli fa girare la testa, che gli piace da morire, ma tutt’al più colei che si prende cura di lui, che gli sta vicino, quasi un’amica che lo accetta per quello che è, che lo assiste “amorevolmente”!

Un’altra frequente modalità, sempre inconscia e patologica, di “risolvere” il conflitto interno è quella di mettere nell’altro quel giudice interno severo. Il conflitto intrapsichico sparisce proiettando su un’altra persona (padre, madre, professore…) quel divieto interno arrivando così ad un rapporto rabbiosissimo e cieco con l’altro che viene vissuto come causa di tutti i problemi, regalandogli così un potere enorme che il ragazzo cercherà furiosamente di contrastare finendo però molto spesso per distruggere se stesso. Si realizza quindi un rapporto che non ammette alcuna separazione né tantomeno un rifiuto perché nell’altro c’è anche una parte di sé e quindi c’è un’alleanza, una collusione invisibile con l’altro violento.

È chiaro che se un lavoro di psicoterapia funziona questo conflitto interno si risolve perché sparisce l’identificazione, l’oggetto introiettato, il superio. Però, e questo passaggio caratterizza gli adolescenti, il ragazzo si trova ancora costretto a vivere all’interno delle mura famigliari e deve convivere con questa che adesso è diventata un’oppressione esterna nei confronti della quale ha però ormai una chiarezza assoluta, non si confonde più e il No, interno, è forte e sicuro. Ma una volta che siamo arrivati qui, e cioè che questo giudizio o questo rimprovero è diventato esclusivamente esterno, si avvertirà ancora un senso di fastidio ma sarà ben diverso dalla situazione precedente. Quello che si nota chiaramente nel ragazzo è il passaggio da questa rabbia insopportabile ad una situazione di calma dove sicuramente l’oppressione continua ad essere vissuta ma non si sentirà più in colpa per una bella realizzazione che invece ora si permetterà di fare riconoscendo i limiti e l’invidia di chi reagisce male perché ha perso la vitalità, la sessualità, la gioia di vivere ed è diventato violento. Va anche detto che qualche volta accade che i genitori, rispetto a questo movimento sano del ragazzo, si mettano in crisi e riescano a realizzare un rapporto nuovo e valido col figlio. 

Penso che in un periodo come questo, anche se non abbiamo più 14 anni, sentiamo tutti un’oppressione, alla quale è giusto ed auspicabile ribellarsi. È però fondamentale avere le idee chiare per non cadere in una violenta e sterile ribellione cieca che non fa altro che ristabilire lo status quo, spesso peggiorandolo se non addirittura legittimandolo.

Marco Michelini

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