LA PAUSA ESTIVA
Lasciare che gli altri se ne vadano: non odiare e non uccidere perchè ogni separazione potrebbe essere una nascita: per chi è lasciato, per chi rimane. (Massimo Fagioli)
Considero la pausa estiva parte integrante di una psicoterapia che abbia come obiettivo la guarigione. Nella cosiddetta psicoterapia di sostegno, la pausa estiva è invece un incidente di percorso del quale si cerca di limitare i danni mantenendo un contatto col paziente attraverso telefonate, messaggi o altro, tutte cose che aumentano la dipendenza. Francamente faccio fatica a considerare psicoterapia ciò che mira al sostegno ma non voglio aprire qui un discorso che sarebbe troppo lungo. La pausa estiva è la cartina al tornasole di una psicoterapia. Pensate al bambino che il primo giorno di scuola lascia sereno la mamma per entrare in classe o, meglio ancora, a due amanti che dopo l’orgasmo si separano felici. È la libertà che deriva dal desiderio soddisfatto, dalla certezza di non annullare l’altro alla separazione, certezza di sé che non permette alcun vuoto, alcuna angoscia, alcun dubbio. Quella certezza che ci permette poi di ritrovare l’altro, dopo la separazione, con la gioia di rivederlo senza aver bisogno di chiedergli con chi sei stato? cosa hai fatto? ma con la sola voglia di stare insieme.
Ovviamente le cose non vanno sempre così. Non vanno sempre così per il bambino che entra in classe né per gli amanti né tantomeno per i pazienti in psicoterapia. Così come pensiamo che la pausa sia parte integrante della psicoterapia allo stesso modo dobbiamo pensare che la qualità della separazione in un qualsiasi rapporto sia legata alla qualità del rapporto stesso. Non possiamo pensare la separazione come qualcosa di scisso da quello che viene prima cioè dal rapporto. In psicoterapia ci possono essere due reazioni malate tipiche alla pausa estiva. La prima è quella di annullamento prima della separazione rispetto all’altro che va via, che si manifesta con una perdita di interesse nei confronti del terapeuta, con reazioni più o meno euforiche, per arrivare in alcuni casi alle “guarigioni miracolose”. “Dottore sto benissimo grazie di tutto ho deciso di finire qui”. Ma sotto questo superficiale benessere cosciente si nasconde spesso un ben altro pensiero non cosciente. Semplificando molto possiamo sintetizzarlo così: “non sei tu che abbandoni me sono io che abbandono te”. L’altra reazione patologica si verifica invece al rientro per cui la crisi si verifica dopo la pausa, nel rivedere lo psicoterapeuta quindi per la presenza di quest’ultimo. Tra queste due c’è talvolta una situazione intermedia che si manifesta con un misto di rabbia e angoscia, spie della paura di poter far sparire affettivamente quel rapporto così importante.
Proviamo a vedere dove possiamo trovare un precedente di queste due reazioni. La matrice della prima la troviamo in una possibile reazione patologica fatta allo svezzamento, quando il seno va via definitivamente. La seconda invece si può ritrovare dopo lo svezzamento, quando il bambino cammina autonomamente, parla, si sente il padrone del mondo e di punto in bianco scopre che non tutti gli esseri umani sono a sua immagine e somiglianza. Il bambino vede la femminuccia, lei il maschietto ed è crisi, crisi non per l’abbandono ma per la presenza dell’altro, altro diverso da sé. E se dobbiamo considerare questa crisi, relativa alla propria identità fisica, universale e del tutto fisiologica, i modi per superarla possono essere molteplici, sani o malati, a seconda della realtà interna presente al di sotto del narcisismo dell’identità fisica cosciente. Perché se questo narcisismo nascondeva un vuoto o la dissociazione, allora la visione del fisicamente diverso da se’ può dare luogo a reazioni malate.
Il discorso sarebbe lunghissimo ma forse si riesce a comprendere perché la pausa estiva è parte integrante di una psicoterapia. Perché ci permette non certo di ricordare quei momenti ma piuttosto di ricrearli. Fino ad arrivare a viversi con gioia la libertà altrui e ovviamente la propria, sentendo che la propria identità umana si realizza nel far stare bene l’altro che si ama e non certo nel tenerlo stretto accanto a sé. Pensiamo alla gioia della madre nel vedere il figlio autonomo che si allontana sereno, o all’orgoglio dell’amante nel sapere che la certezza di sé della donna amata non potrà essere scalfita dall’invidioso di turno o all’impossibilità del terapeuta di ricordare come fosse quella splendida persona che oggi ha di fronte, quando si affacciò al suo studio la prima volta.
Sarebbe bello pensare a rapporti non più dettati dal bisogno e dall’utile ma da esigenze umane e dal desiderio. E pensare che questo desiderio, una volta soddisfatto, si trasformi in interesse per l’altro, senza pretendere niente in cambio. È un’utopia? Un ideale da raggiungere? Chiamiamola più semplicemente realizzazione dell’identità umana.
Marco Michelini
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Lasciare che gli altri se ne vadano: non odiare e non uccidere perchè ogni separazione potrebbe essere una nascita: per chi è lasciato, per chi rimane. (Massimo Fagioli)
La sensazione che si prova indossando un abito su misura, di seta, morbida, che scivola sul corpo, valorizza le forme e ti fa sentire esattamente quella che sei, quello che senti, in quel preciso istante. Davvero un bellissimo articolo!
Davvero bellissime le tue parole!
M.M.