ALLA MIA ITACA
<<Per insegnare il Latino a Giovannino non basta conoscere il Latino, bisogna soprattutto conoscere Giovannino>> scriveva Jean Jacques Rousseau nel 1762, nell’Emilio.
La frase è talmente condivisibile da sembrare, oggi, un’ovvietà. Eppure nel sistema scolastico che conosco e vivo tutti i giorni “conoscere Giovannino” troppo spesso non è una priorità. E’ come se l’asse si fosse spostato solo sulle prestazioni di tutti gli attori della scuola (docenti compresi) e non sulla relazione tra gli attori che è la piattaforma di qualsiasi possibilità di apprendimento. Conta quello che lo studente sa o sa fare e non quello che lo studente è. E’ il prodotto che conta bellezza! Il prodotto che deriva dal merito astratto, quello violento e competitivo che ci spinge tutti, come tante formichine ubbidienti, verso la ricerca ossessiva del risultato. Ma che dici? E l’inclusione? E la personalizzazione dell’apprendimento? E i Bes e i Dsa? …Non lo so, non mi convincono, perchè troppo spesso diventano un modo per nascondersi dietro una “certificazione”, un’etichetta di deficit cucita per sempre sulla pelle dello studente , che magari risolve (in parte) le difficoltà meccaniche dell’apprendimento ma si concentra poco o nulla sulla persona.Ma quando è accaduto che abbiamo smesso di essere curiosi dell’umano che c’è nell’altro, quando è successo che abbiamo smesso di amare l’adolescenza dei nostri studenti che è poi la nostra stessa adolescenza, quando abbiamo accettato di essere formichine e non api di un colorato alveare da costruire insieme e soprattutto perchè ci stupiamo se poi i ragazzi si ribellano? Perchè loro la conoscono bene la differenza tra un formicaio e un alveare…le formiche lavorano a terra, le api possono volare….
Certo non è facile portarsi dietro per tutta la vita la bellezza dell’adolescenza, quello “spirto guerrier c’entro mi rugge” … le “care illusioni” che ti facevano vivere tutto in modo assoluto, anche quando facevi le cazzate , ti innamoravi di un cretino, ti disperavi per una schiocchezza o difendevi un amico con le unghie e con i denti…Ma io so che ho scelto di fare questo mestiere perchè quella bellezza la leggo negli occhi dei miei studenti ogni volta che entro nella classe, la vedo anche negli sguardi più fragili o smarriti e sono certa chè è da quella bellezza che devo partire per essere una docente, è quella bellezza che devo salvaguardare… Un’impresa titanica? Forse… Quanto mi costerà? Quanto mi costringerà a fare i conti con me stessa? Tanto. Sempre.
Qualche anno fa, al termine di un quinquiennio, il giorno del makp 100, alcuni studenti mi dedicarono Itaca, la poesia di Konstantinos Kavafis in cui il poeta racconta il viaggio verso casa di Ulisse. L’eroe vede cose incredibili, affronta mostri e tempeste, scopre uomini e civiltà sconosciute ma il poeta gli suggerisce di “non affrettare in alcun modo il viaggio”, di non temere i lestrigoni o i Ciclopi, perchè è in quel viaggio che incontrerà la vera ricchezza e, una volta giunto a destinazione, “saggio come sarai diventato, con così tanta esperienza, avrai capito cosa vuol dire un’Itaca”. Alla fine della poesia gli alunni avevano scritto tre parole: << Alla nostra Itaca>>.
In quel momento esatto, di fronte a quel regalo di una tenerezza infinita, tra un sorriso e una lacrima , ho capito che in fondo per essere una docente avrei dovuto essere semplicemente Itaca. Non so se ci sono sempre riuscita,però ci ho sempre provato perché anche io, lungo la strada, ho incontrato la mia Itaca. Non glielo ho mai detto che è stata la mia Itaca, non glielo ho mai detto che le devo tantissimo…e allora, oggi, questo articolo voglio dedicarlo a lei.
Sara Lazzaro
Grazie per queste riflessioni così belle e personali. La poesia fa passare emozioni e stati d’animo difficili da comunicare in altro modo. Itaca è il viaggio della conoscenza, fondamentale per essere vitali, ma in questo caso è anche qualcosa di più….