SI PREGA DI (NON) CHIUDERE GLI OCCHI
C’erano una volta gli animali selvatici che passeggiavano per le città e la vegetazione che andava riprendendosi dal continuo disboscamento.
L’aria era respirabile, i cieli tersi e tutt’intorno regnavano quiete e silenzio.
L’inquinamento non esisteva più, non occorreva alternare le targhe, e nemmeno guidare.
Si faceva il pane in casa e ci si teneva stretti, anche se il distanziamento sociale imponeva il contrario, e dai balconi si alzavano canti popolari e corali.
Insomma si guardava tutti insieme al futuro, sostanzialmente per due motivi legati tra loro:
Primo: Il futuro esisteva, e non poteva che essere anticapitalista, ambientalista, forse addirittura socialista ma comunque a misura umana.
Secondo: il presente faceva troppa paura.
Non è una favola, né la trama di un film dell’orrore, è il Marzo di quattro anni fa, ed eravamo in pieno lockdown da pandemia.
E’ a partire da lì che forse si è avuta conferma con la necessaria chiarezza di come Darwin avesse ragione, e che la specie che sopravvive è quella con la maggiore capacità di adattarsi.
Nel caso del regno animale, quella capitalista.
Si adatta a qualunque cosa, economia di guerra, di epidemia, di ricostruzione, di distruzione, di nuova ricostruzione e così via.
Basti pensare che per distruggere l’umanità basterebbero una dozzina di bombe atomiche e che, a partire dalla sua invenzione, l’uomo è stato in grado di produrne (e venderne!!!) oltre 70.000*
Quando si dice fare le cose per bene.
Essere previdenti.
Certo, non è che possiamo tornare al tutto è di tutti, come se fossimo ancora cacciatori e raccoglitori (anche se notizie di guerre all’epoca non ce n’erano) però anche l’idea che 10 teste governino oltre 7miliardi di corpi mi pare un tantino sbilanciata..
Cosa fare?
Bah, parlarne?
Scriverne?
E poi?
Che dire, il poi è fondamentale: il futuro esisterà davvero?
Perché ho come l’impressione che una certa distrazione di massa sia in atto da diverso tempo, e non so bene se può entrarci qualcosa, però so che alla nascita il neonato chiude gli occhi sul mondo fisico e inanimato (fantasticando di renderlo inesistente) perché quel mondo fatto di freddo luce e rumore lo ucciderebbe, però poi proprio per quello cerca e spera bene che ci sia un altro essere umano che possa prendersi cura di lui.
Che possa salvarlo, potremmo dire.
E siccome, guerre a parte, di religione si parla sempre meno, al Papa non danno più retta nemmeno USA e Germania e statistiche alla mano in tutto il mondo cresce il numero degli atei, è come se chiudere gli occhi sui cambiamenti climatici, le guerre, le disuguaglianze, le malattie infettive (vedi: no vax) o su quelle mentali (vedi: fatti di cronaca, forse cercavi: certa psichiatria) fosse una reazione di iperdifesa a cui però non desse luogo alcuna speranza che gli esseri umani insieme possano riuscire ad opporsi, resistere e affrontare quello che, giustamente, li spaventa o per meglio dire li angoscia.
E quello dell’angoscia può essere un problema non da poco.
Se uno teme di avere una malattia grave e non va dal dottore per il terrore della diagnosi e delle conseguenze (sofferenza, cure invasive ecc), in caso fosse davvero malato, sarebbe proprio la stessa “angoscia di sapere” a portarlo dove teme maggiormente…
Davvero stiamo vivendo una cecità collettiva?
A me sembra che oltre a quelle combattute sul campo sia in atto una guerra per così dire più silenziosa, generazionale, con i ragazzi giovani che se ne fregano dei colori, della patria e dell’etnia, e una certa politica che invece è talmente angosciata dalla “perdita dei confini” dal cercare di rafforzarli quanto possibile, come se proprio da quelli dipendesse la loro stessa integrità.
Come se avessero il terrore di andare in pezzi.
Di disgregarsi.
Di estinguersi.
Come se la globalizzazione, in cui i confini si fanno sempre più sottili fino a sparire, come le polveri inquinanti durante il lockdown, avesse innescato la reazione contraria, cioè il ritorno dei nazionalismi più ignoranti beceri e distruttivi.
Come si inverte questa tendenza?
Direi forse prima di tutto pensandoci, insieme o da soli, invece di crederci.
Prendendosi il tempo necessario per approfondire la realtà in modo da ritrovare la capacità di immaginare il futuro.
Gli egizi sostenevano che il passato è davanti e il futuro è alle spalle, perchè il passato lo puoi vedere e conoscere, mentre il futuro no..
E non so se è solo un fatto di riuscire ad essere attenti, forse è più un qualcosa legato al restare.. presenti!
Conoscere il passato, riconoscerlo, può aiutare a non ripeterlo?
In fondo anche davanti ai peggiori film dell’orrore non si può fare a meno di sbirciare..
Marco Randisi
*Fonte: Annalisa, cantante, attrice, laureata in fisica..
Molto bello e intenso, concreto.
Mi hai fatto pensare a quanto spesso anche nel nostro quotidiano, ci ritroviamo a chiudere gli occhi facendo schiantare qualsiasi istanza di cambiamento contro la freddezza della realtà. In un presente così smemorato “pensarci” e fermarsi piuttosto che “crederci” sembra già una risposta concreta e un punto di partenza per immaginare un futuro. O forse addirittura per provare ad inventarne uno completamente nuovo.
Bellissima riflessione, grazie Marco