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Il tempo rubato

Il tempo rubato

Quattordici anni. Uscivo la mattina presto per andare a scuola. Prendevo un affollato tram, a quel tempo nella mia zona ancora non c’era la metropolitana. E ogni volta mi riempivo i polmoni di un tempo tutto nuovo e tutto mio. Mi piaceva quel tempo, era una grande conquista.

Davanti alla scuola incontravo i compagni di classe, saluti, baci…tanti baci. E gli altri, quelli più grandi. Il ragazzo ricciuto del terzo anno che non conoscevo, sapevo solo che si chiamava Nicola e speravo ogni mattina di vederlo e che il suo sguardo incrociasse il mio.

Chiacchiere, scherzi, qualche preoccupazione per l’interrogazione che ci aspettava. Tutto era soltanto mio e nostro. Di quella comunità di ragazzette e ragazzetti che in quello spazio e in quel tempo sperimentavano se stessi, le amicizie, i primi amori, il coraggio di sostenere le proprie opinioni, il sentirsi per la prima volta da soli, senza lacci e guinzagli, dentro il mondo. Un mondo apparentemente piccolo, ma che si apriva su tutte le possibilità della vita.

Ora sono dalla parte di chi guarda ragazzette e ragazzetti da una cattedra e anche, dalla scorsa primavera, dallo schermo di un computer. L’avevo considerato strumento necessario ma momentaneo e invece è entrato nel quotidiano come unica possibilità di fare scuola in “zona rossa”, ora alternato alla cosiddetta “didattica in presenza”: una settimana a scuola, una settimana a casa. Abbiamo iniziato il nuovo anno scolastico facendo salti mortali per trovare spazi adatti per contenere tutti. Dopo vari contagi e quarantene, di nuovo a casa davanti al video e ora un po’ qua un po’ là. Perché tutti continuano a riempirsi la bocca della bella parola “Scuola”, ma niente è stato fatto per renderla veramente sicura. Quel che deve continuare a girare è l’economia, non si può “sprecare” denaro per quel tempo e quello spazio preziosi per la formazione di ogni essere umano!

Guardo gli studenti nel video e penso. che gli stiamo rubando un tesoro. Non mi preoccupa quanto riusciranno ad apprendere. Mi preoccupano i loro sguardi, almeno quelli che riesco a vedere, tra una connessione che non funziona e un video spento perché ci si vuole nascondere. Un po’ tristi, un po’ disorientati, tutti molto seri. Non vedo l’allegria, a volte velata da qualche ansia, altre volte timidamente nascosta. Leggo il peso di un tempo sottratto. Il tempo dello stare insieme vivendo e rischiando sulla propria pelle incontri, condivisioni, magari anche scontri, senza sentire sulla nuca il controllo di uno sguardo che, anche se non materialmente presente, aleggia tra le mura di casa. Un’allegria che si riaccende davanti al cancello della scuola, pur senza baci e abbracci e alla più o meno giusta distanza.

La scuola al tempo del Covid! Se abbiamo continuato a incontrarci dobbiamo ringraziare la tecnologia (anche se non per tutti, ma qui si aprirebbe un altro capitolo). Nel lockdown di primavera, forse per la novità, forse per la sfida che insieme stavamo affrontando, in quegli occhi c’era ancora una bella luce. Anche perché era emerso qualcosa di nuovo, la possibilità di condividere una nuova visione del mondo in cui la sete di socialità veniva al primo posto. Abbiamo scoperto tutti che quel che contava non era l’ultimo modello di smartphone, ma quello stare insieme che la distanza fisicaci sottraeva.

Poi dall’estate ce la siamo presa con loro, con ragazzette e ragazzetti che hanno cercato di ritrovare quel che gli era stato sottratto, come avremmo fatto tutti alla loro età. Per scoprire poi che il grosso dei contagi era avvenuto nelle RSA o in locali e discoteche che non sono propriamente alla portata della maggior parte degli adolescenti.

Non sappiamo come continuerà questo faticoso anno scolastico. Aspettiamo con ansia il vaccino. Io continuerò a guardare quegli occhi cercando di dirgli che alla delusione, al tradimento di una possibilità di cambiamento possono rispondere trasformando il tempo sospeso in ricchezza. Perché si può ritrovare in se stessi quella libertà che la realtà esterna ci vorrebbe sottrarre. Ritrovarla nei propri pensieri, in un tempo nuovo che possiamo riscoprire dentro di noi.

Nella storia grandi pensatori, artisti, scienziati, hanno affrontato privazioni ben peggiori di quella che stiamo vivendo oggi, ma sono riusciti lo stesso ad essere creativi. E magari lo sono stati proprio grazie a quel qualcosa che gli veniva rubato, per aver scoperto in se stessi una forza che forse non sospettavano neanche di avere.

Quel fiato sul collo, dal quale ci si separa uscendo di casa al mattino, forse anche caldo e dolce ma pur sempre soffocante, si può dimenticare anche se aleggia nell’aria. Si può scoprire che è possibile sentirsi piacevolmente soli dentro il mondo anche se qualcuno vorrebbe impedircelo, magari pensando di proteggerci.

Perché quel tempo conquistato, tutto nostro, non è là fuori ma dentro ognuno di noi. E possiamo usarlo per trovare un pensiero nuovo per poi giocarcelo quando torneremo a incontrarci senza distanze, ad abbracciarci e a darci tanti baci. Per quel futuro bello che ragazzette e ragazzetti possono inventare.

Mariantonietta Rufini

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