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Nove mesi

Nove mesi

Da marzo a oggi la nostra vita è completamente cambiata. Nove mesi in cui il mondo si è trovato faccia a faccia con la verità della natura. Per anni abbiamo tenuto gli occhi chiusi illudendoci che il nostro correre, correre e girare su noi stessi fosse l’unico modo possibile di vivere. E invece no, è arrivato marzo 2020 e, all’improvviso, tutti i popoli del mondo si sono trovati nella stessa situazione. Abbiamo dovuto fare i conti con qualcosa di completamente diverso. E per la prima volta non sono più esistite differenze di religione, nazionalità, colore della pelle. Sono accadute cose, quelle sempre sperate, ma in fondo considerate utopia; storie di unione, di collettività, di speranza. Chiusi nelle nostre case abbiamo cominciato a pensare. Una pandemia ci ha resi tutti uguali. Con questo non voglio assolutamente sostenere che il Covid 19 è stata una fortuna, affatto. Ma vorrei cercare di riflettere su questa situazione completamente nuova.

A questo punto ognuno di voi mi potrebbe obbiettare che nel corso della storia ci sono state centinaia di epidemie, quindi non c’è nulla di nuovo eppure non posso far a meno di pensare che, se fosse accaduto solo dieci anni fa, la scuola si sarebbe completamente fermata, lo smart working non sarebbe stato possibile per la maggior parte dei lavoratori e l’unico modo che avremmo avuto per comunicare tra noi sarebbe stato il telefono o gli SMS. Sostengo che questa pandemia è una situazione nuova perché non è mai successo che tutte le popolazioni del pianeta dovessero affrontare un problema gigantesco potendo rimanere connesse fra loro.

Nei primi mesi questa uguaglianza si è sentita poi, come succede di solito, siamo diventati diversi. Diventare diversi l’ho sempre considerata una cosa bella, ma bisogna anche pensare a come ci si arriva. Chiunque abbia un fratello, un amico del cuore o un grande amore sa che ad un certo punto, dopo che si è condiviso tanto, ci si ritrova cambiati e spesso la trasformazione ci porta a intraprendere strade diverse.

Questa volta però è successo qualcosa: molti di noi hanno affrontato questa nuova situazione con stupore, sconcerto, preoccupazione, ma poi sono riusciti a dare un senso a quello che stava accadendo. Non hanno chiuso gli occhi. Altri invece non ci sono riusciti. Non hanno capito, hanno evitato di pensare, di sentire con il proprio corpo le forti emozioni che questa situazione faceva emergere e alla fine si sono girati dall’altra parte. Sono così nate in tutto il mondo proteste di persone che dichiarano che il virus non esiste. Sono arrabbiati e se la prendono con chiunque tenti di riportarli alla realtà. Vogliono continuare a tenere gli occhi chiusi e chiunque affronti questa situazione in modo diverso, magari con fatica, ma anche con intelligenza, rappresenta una minaccia alla loro cecità. Vogliono “tornare alla normalità”, non riescono a pensare che la normalità spesso non coincide con qualcosa di buono, di sano. Soprattutto vogliono spaventare e fermare tutti gli altri, in maniera che da questa crisi non venga fuori niente di diverso da prima. Non è un caso che le spinte negazioniste siano cavalcate da forze di estrema destra per loro natura conservatrici. Come facciamo a non farci fregare da queste persone? Probabilmente non basta dire: “sono pazzi” o “sono stupidi”. L’indifferenza può essere una buona strategia, ma potrebbe anche farci venire il dubbio che siamo come loro. Allora dobbiamo continuare a muovere le nostre menti in un momento in cui il movimento dei nostri corpi è limitato. Dobbiamo fare come di notte quando nel buio il corpo è immobile e invece la mente sogna. Forse facendo così, quando la mattina ci svegliamo, potremo immaginare una vita nuova.

Gioia Piazzi

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