Il mondo fuori e la nuova scuola
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Dall’incontro con Sara Lazzaro sono emerse riflessioni sul rapporto tra la scuola e la vita che si vive fuori da essa.
Il Governo ha dato priorità al ritorno degli studenti in classe anche se la situazione epidemiologica è sempre incerta. Perché le istituzioni spingono in maniera cosi decisa verso il ritorno alla didattica in presenza? Si tratta di un reale interesse per gli adolescenti o nasconde un altro pensiero nei confronti dei giovani?
Non credo che ci sia un reale interesse per gli adolescenti ma c’è l’idea che gli adolescenti lasciati in giro facciano più danno per cui è meglio tenerli sotto controllo, utilizzandoli come capro espiatorio per giustificare le inadempienze della politica nel tentativo di tenere sotto controllo la pandemia. Se ci fosse stato un reale interesse non sarebbe stata costruita una narrazione veramente violentissima nei confronti degli adolescenti come di un branco di pecore impazzite che passano il tempo a scambiarsi il virus e a cui non importa niente degli altri.
Io ho la sensazione che spesso il problema è l’adulto che si sente forte per la propria storia, difende le proprie posizioni e non sa vedere il nuovo, anzi lo considera pericoloso, solo perché è più giovane. E quindi secondo me c’è una invidia di fondo perché i giovani hanno delle prospettive maggiori delle nostre.
La scuola potrebbe essere riconosciuta come un luogo sicuro mentre in tutti gli altri contesti extrascolastici le misure di sicurezza sono a volte carenti oppure vengono criticate od eluse. A farne le spese sono proprio gli adolescenti, costretti ad affrontare questa incoerenza tra il dentro e fuori la scuola.
Quali soluzioni si potrebbero proporre per creare un continuum tra la scuola e ciò che avviene nei vari contesti extrascolastici?
Il primo passo è quello di trasmettere un messaggio di coerenza che per gli adolescenti è fondamentale e formativo. Devo mettere in sicurezza e far rispettare le regole fuori dalla scuola; a quel punto posso chiedere all’adolescente di rispettarle dentro la scuola. Una di queste misure potrebbe essere quella di ripensare il sistema dei trasporti creandone uno dedicato agli studenti. Questo significherebbe non solo controllare molto di più eventuali cluster infettivi, ma anche mostrare un reale interesse per i giovani, facendo passare il messaggio “metto un pullman dedicato solo a te perché la tua possibilità di venire a scuola è importante per me”.
Siamo rientrati con la didattica a distanza e il governo ha deciso due fasce orarie di ingresso. Ma perché per un principio di uguaglianza devo dividere la classe a metà, una in presenza e una a distanza? I pendolari non sono uguali agli altri, sono già svantaggiati in partenza e questo svantaggio ho il dovere di colmarlo favorendo il loro accesso alla didattica a distanza. Gli studenti che sono in città si potrebbero sentire svantaggiati a loro volta ma in realtà in questo modo hanno la possibilità di solidarizzare con i propri compagni. La cittadinanza attiva è questa, l’umanità è questa: collaborare per fare si che le cose funzionino.
La formazione in relazione alla pandemia ed a quello che succede fuori dalla scuola, significa anche lavorare sulla dimensione affettiva. I ragazzi possono essere disinteressati verso i propri genitori perché li vedono ancora forti, ma sono interessati ai loro nonni e hanno paura di contagiarli. Si potrebbe approfondire cosa significhi il rispetto dell’altro, riflettere sul perché tenere la mascherina e perché accettare il distanziamento.
I più giovani riusciranno a diventare adulti consapevoli e responsabili di sé e degli altri?
Sì. Nonostante tutto io sono fiduciosa, li trovo migliori degli adulti a volte. O perlomeno non sarà a causa della pandemia ma sarà a causa dei messaggi contraddittori che gli arrivano dal mondo adulto o per il modello culturale di riferimento che è violento e incoerente.
I ragazzi non hanno avuto un deficit e hanno tutte le possibilità per diventare adulti.
Portare gli studenti a scuola, portare la scuola agli studenti. Il punto di vista cambia radicalmente. Cosa si potrebbe dire in questo senso? Entrando maggiormente nel contesto familiare attraverso la didattica a distanza si potrebbero raggiungere e coinvolgere maggiormente i genitori nel percorso scolastico dei loro figli e favorire quel continuum tra la scuola e il mondo fuori?
Sicuramente quello che ci ha insegnato la pandemia è che la scuola non è fatta solo dagli studenti dentro un istituto, dentro uno spazio. La scuola è la collettività che si crea a prescindere dallo spazio nel quale si svolge. Abbiamo capito che si può portare la scuola agli studenti.
Ecco un’idea meravigliosa… visto che abbiamo chiuso i musei, i parchi, le ville, i cinema… non si potevano portare gli studenti a fare periodicamente una volta la settimana la didattica all’interno degli spazi museali che sono enormi? Per farli ritrovare “insieme” all’interno di un magico luogo di cultura.
Un altro elemento interessante riguarda il rapporto con i genitori. Ci sono stati elementi positivi ed elementi negativi. Gli elementi negativi sono stati che alcuni genitori hanno interpretato la loro presenza in casa durante la didattica a distanza come una possibilità di ascoltare le lezioni dietro la porta e quindi di intervenire sia sui contenuti sia sulla modalità di organizzazione della didattica, invadendo sia lo spazio dei figli sia le competenze e il diritto all’insegnamento e alla libertà dei docenti.
Però è anche vero che questa didattica a distanza potrebbe permettere maggiormente l’incontro con le famiglie, sempre molto complesso dal punto di vista logistico. Realizzare incontri a distanza potrebbe riattivare il progetto di collegialità che risale ai decreti delegati.
Lo stare a casa dovrebbe essere una scelta consapevole e sentita per proteggere sé e gli altri; l’isolamento, le restrizioni, i divieti vengono però vissuti spesso dagli adulti come mero obbligo, come oppressione o come una punizione, proponendo tali pregiudizi e stereotipi ai giovani. Se i più giovani non riescono a rifiutare tale situazione, si adeguano allo stereotipo di adolescente “indisciplinato” e in questo modo forse possiamo spiegare gli episodi rabbiosi avvenuti negli ultimi mesi come le risse in strada e il mancato distanziamento. Che ne pensi?
Mi viene in mente che dovremmo sempre di più confrontarci con i ragazzi su che cosa sia la libertà. Questa non può essere il fare qualsiasi cosa senza pensare alle conseguenze sugli altri. Ho cercato di trasmettere ai miei alunni che non è possibile pensare che la restrizione momentanea della propria possibilità di muoversi ed interagire sia una limitazione della libertà. Significa piuttosto salvaguardare la mia salute perché anche la salvaguardia della salute è un dovere da parte di chi guida i territori e il governo. Se passa il messaggio da parte degli adulti che i DPCM sono anticostituzionali, che le regole e i divieti sono una limitazione della libertà, è chiaro che il giovane si sente autorizzato ad attivare una serie di comportamenti che sono inadeguati e pericolosi rispetto alla pandemia. Per questo poi viene considerato indisciplinato. In realtà il giovane che si comporta in questo modo è molto disciplinato, perché si identifica completamente con il mondo degli adulti e ne ripete gli stereotipi. Quindi il problema è lavorare su di noi, non lavorare solo sui giovani.
Se l’adolescente indisciplinato in realtà è molto disciplinato, perché in realtà si adegua al sistema costituito, come può venir fuori invece la sana ribellione degli adolescenti rispetto alla situazione attuale visto che da una parte sono incastrati nelle regole e allo stesso tempo rischiano l’identificazione con il sistema?
Per questo la scuola potrebbe avere un ruolo importantissimo: riuscire a trasmettere l’idea che la ribellione è trovare la propria idea, la propria strada, trovare delle forme di scontro con il sistema, sia esso rappresentato dalla politica, dalla cultura, ma anche dagli stessi genitori, che siano però costruttive e non distruttive. L’idea è fargli capire che ribellarsi non è rompere la regola solo per rompere la regola, ma imparare a capirla per poi contestarla trovandone una migliore. La ribellione è qualcosa che costruisce, non qualcosa che distrugge. Altrimenti è solo un adeguamento.
Se il modello culturale che viene proposto è quello dell’adolescente distruttivo, e l’adolescente si adegua a questo modello, è chiaro che sta ubbidendo. E’ necessario fargli capire che la ribellione non può essere mai violenta, deve essere una ribellione delle idee e non una ribellione materiale.
Anche l’avvicinamento al mondo delle droghe per esempio, che è sempre più presente, è un modo di evadere dalla realtà non una ribellione. Invece l’adulto e la cultura adulta di riferimento dicono che i ragazzi si drogano perché sono dei ribelli. Questo rende automaticamente la droga affascinante come se fosse sinonimo di ribellione mentre è sinonimo di evasione da qualcosa che non funziona.
Sicuramente bisogna proporre un modello culturale completamente diverso anche a scuola per quanto riguarda la ribellione. Pensate che i docenti di lettere ancora propongono come esempi Boudelaire e D’Annunzio!!!
A conclusione di questa intervista alla Professoressa Sara Lazzaro, che ringraziamo per l’entusiasmo, l’interesse mostrato e per il contenuto “umano” delle sue riflessioni, vorremmo riprendere un termine più volte citato in questa appassionata intervista: ribellione.
Qualcuno si è chiesto cosa prova uno studente del primo superiore che in pratica non ha quasi mai visto i suoi compagni e che si ritrova in una classe, anzi in mezza classe?
Qualcuno ha spinto gli insegnanti ad inventare un nuovo modo di fare didattica a distanza, cercando proprio di affrontare e superare queste criticità del nuovo gruppo classe?
Qualcuno si è domandato cosa comporterà tutto questo per il futuro degli adolescenti, che sulle figure adulte fuori dal contesto familiare e sul gruppo dei pari pongono tantissime speranze?
Prima si parlava di cittadinanza attiva; al momento potremmo parlare più di cittadinanza passiva viste le premesse.
La ribellione degli studenti allora starebbe proprio qui. Lottare per evitare le divisioni, per evitare le discriminazioni, per essere ascoltati dalle istituzioni. Tutto ciò ovviamente senza violenza, ma solo attraverso il rifiuto di essere considerati un problema sociale o di essere valorizzati solo per convenienza. Ci vorrebbe una emittente radio, perché no. Una Radio dedicata e gestita dagli studenti, una emittente con un palinsesto culturale e sociale tutto nelle mani dei ragazzi.
Una Radio veramente… Attiva!
Maria Giubettini
Walter Di Mauro
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Articolo ricco di spunti e riflessioni. A proposito delle domande finali, forse, qualcuno si è posto il problema di dare voce ai ragazzi, ma non so dire con quale risultato. Su Sky è stato prodotto un programma “ragazzi interrotti” , esperienze di vita vissuta durante questo periodo, pubblicizzato poco. E le istituzioni li avranno ascoltati? Magari una radio avvierebbe un nuovo capitolo, una possibilità di dare voce a chi ha qualcosa da dire e aprirebbe gli occhi di chi non vuole vedere e non ha mai voluto ascoltare.
Bellissimo ed interessante articolo, e l’idea di una radio dedicata e gestita dai ragazzi è veramente splendida!