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BOSNIA EXPRESS: UNA STORIA CHIAMATA DONNA.

BOSNIA EXPRESS: UNA STORIA CHIAMATA DONNA.

Nei giorni scorsi ho letto dell’ennesimo fatto di cronaca, l’ennesimo femminicidio. Addirittura tre in un solo giorno. E ancora, perdonatemi il parallelismo, non so perché mi viene, ma forse ha un senso, ho letto dei commenti violentissimi ad un post di una ragazza minorenne che chiedeva affranta perché avrebbe dovuto essere costretta a tenere un bambino frutto di una violenza subita, le rispondevano “perché vuoi fare a questo povero piccolo la stessa violenza che hai subito?”, oppure”si lo fai e poi lo dai in adozione”. Non lo so, quei commenti mi sembravano lame che affondavano nella carne di quella povera ragazza e di tutte le donne… e mi chiedevo perché mi veniva questo parallelismo, certamente un po’ estremo, con il femminicidio. Non lo so dire per niente, posso solo raccontare di pensieri un po’ vaghi, nebulosi, che non riesco ad afferrare, so solo che in entrambi i casi mi rimane addosso una strana sensazione di impotenza e muta incredulità, mi mancano le parole per dire… e allora cerco immagini, immagini per resistere, per raccontare di qualcosa di possibile, un rifiuto possibile, una resistenza. E così mi viene da raccontare di un meraviglioso documentario che ho visto di recente e che mi ha colpito, perché affronta un’altra grande tragedia, lo stupro etnico in un paese in guerra. Ma la cosa bellissima di questo documentario, Bosnia Express, di Massimo D’orzi, è che ha scelto di raccontare di una guerra e delle sue conseguenze senza nessuna immagine violenta, nessuna immagine di morte. Racconta la guerra attraverso le donne e la loro capacità di resistere, di rifiutare la violenza subita, di rifiutarla a livello personale e sociale, di rilanciare e di vivere nonostante tutto, districandosi con forza ed eleganza, come in una danza, tra le contraddizioni e i conflitti del paese in cui vivono. E ancora più interessante: il documentario è piaciuto moltissimo anche ai ragazzi, che nei tanti incontri che ci sono stati durante le proiezioni hanno fatto sempre molte domande interessate.

Visto che la montatrice è una donna, Paola Traverso, mi è venuto da farle una domanda: come siete riusciti a raccontare questa storia di resistenza e a raccontarla in un modo che risuona anche a chi di quella guerra non ne sapeva nulla?

PV: “La scelta fondante è stata quella di eliminare completamente immagini di distruzione e di morte, che invece sono le uniche che una guerra può generare. Lasciare totalmente fuori campo la violenza e far affiorare la vita, la resistenza, il coraggio delle donne che sono, insieme ai bambini, le principali vittime delle guerre. La cronaca di solito è fin troppo ridondante di macerie, siamo bombardati, è il caso di dirlo, dalle immagini tragiche di un conflitto, che rischiano di coprire e impedire di interrogarsi su cosa si nasconde dietro la violenza e di dimenticare, cancellare, omettere quella spinta vitale che gli si oppone da sempre. Abbiamo voluto rendere protagonista la bellezza in aperto contrasto con la brutalità criminale in particolare quella dello stupro etnico, portando in primo piano in special modo donne, ragazze, giovani artisti e musicisti. L’arte e la creatività, propria di tutti gli esseri umani, come risorse per rifiutare la distruttività, non essere schiacciati e soccombere sommersi dalle ferite e paralizzati dal senso di impotenza che genera una guerra. L’altra sfida è stata quella di cercare un modo non convenzionale di raccontare, un linguaggio e quindi un montaggio che fosse coerente e armonico con questa scelta di fondo, lontano da soluzioni “rassicuranti” su cui poggiare il flusso del racconto. Così arriviamo alla risonanza di cui parli, riscontrata anche tra i giovani che hanno visto il film e che non erano neppure nati negli anni in cui si svolgeva il conflitto nella ex Jugoslavia.

Il loro interesse ci ha posto degli interrogativi e tra le motivazioni, dedotte da alcuni loro commenti, c’è proprio il linguaggio del film, che può risultare spiazzante, senza un andamento lineare, con accostamenti apparentemente strani e un ritmo imprevedibile legato molto anche all’uso della musica interna alle scene oltre che alla colonna sonora. Evidentemente questo per i giovani è interessante e dialoga con la loro curiosità e apertura al non conosciuto.”

Bosnia Express tornerà a Roma per la quarta volta il prossimo 24 agosto, alle 21, all’Isola Tiberina, nell’ambito della XVIIII edizione del festival internazionale di cinema e cultura “Isola del Cinema”. Io vado a rivederlo, a cantare di resistenza insieme alle donne di Tuzla ed a parlare ancora con il regista e con la montatrice della bellezza delle donne.

Luigia Lazzaro

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